Ultimo aggiornamento: 7 Ottobre 2023

Secondo l’opinione di molti critici letterari, l’esperienza poetica di Montale è forse la più alta della prima metà del Novecento. O per lo meno, quella che maggiormente ha saputo esprimere la condizione umana ed esistenziale nell’Italia degli anni venti e trenta.

La funzione della poesia nella poetica di Montale

La poetica di Montale è il frutto di influenze ed elementi tra di loro diversi. Anzitutto c’è un distacco dal modello estetizzante di D’Annunzio, alla ricerca di una poesia basata su valori semplici. Ma nella sua formazione hanno avuto un ruolo rilevante anche il simbolismo, il lirismo vociano, lo stile dimesso dei crepuscolari, lo sperimentalismo di Pascoli e le opere del primo Ungaretti. Manifesto della sua poetica può essere considerato la poesia I limoni, contenuta in Ossi di seppia (1925). Qui alle piante ricercate e particolarissime citate dai «poeti laureati» (in primis D’Annunzio) Montale contrappone i limoni, alberi comuni che si trovano negli orti. Il limone diventa così il simbolo di una poesia dimessa, che affronta temi quotidiani e semplici. Allo stesso tempo, però, con il suo sapore aspro questo frutto è simbolo del dolore e della sofferenza.

A differenza dei predecessori, infatti, per Montale la poesia non può essere di alcun aiuto per gli uomini. La funzione della poesia per Montale è quella di ricercare la verità, anche se non potrà mai raggiungerla. Può anche essere usata per esprimere il dolore e il «male di vivere», ma non offre nessuna soluzione, né può lenire la sofferenza.

La poetica di Montale: il varco e il male di vivere

La poesia di Montale si caratterizza per un sostanziale pessimismo, per certi aspetti avvicinabile al pensiero di Leopardi. Tema centrale è il «male di vivere» che è connaturato all’esistenza. Andando al di là della futilità delle cose e dei falsi miti, si scopre una realtà arida. La stessa poesia, che può tendere alla verità ma senza mai raggiungerla, è destinata alla sconfitta. Tuttavia, continua sempre a risorgere la volontà di superare le apparenze e di avvicinarsi alla parte più segreta del mondo, che però non sarà mai possibile afferrare. Nasce così la ricerca di un varco verso questa realtà più profonda.

Montale risulta così erede di diverse tradizioni filosofiche europee, da Leopardi a Schopenhauer e Bergson. Soprattutto, per sua stessa ammissione il poeta subì l’influenza del contingentismo di Émile Boutroux (1845-1921). Secondo il filosofo francese, che si poneva su posizioni critiche rispetto al positivismo, il mondo è una realtà mutevole, e dietro la sua apparente immobilità nasconde una spontaneità creatrice che sfugge al determinismo delle leggi scientifiche. Tutto ciò che visto dall’esterno sembra contingente, osservato dall’interno della nostra coscienza si rivela libertà, tensione a superare quello che si è per diventare ciò che si deve essere. Boutroux arriva a formulare un nuovo spiritualismo, poiché l’uomo tende verso Dio.

Montale condivide l’impostazione di Boutroux, eccetto per quanto riguarda la tensione dell’uomo verso Dio. Il poeta si mette così alla ricerca di un squarcio, di un cedimento che mostri il lato segreto delle cose e permetta di intravedere il trascendente. Nei Limoni Montale parla di «uno sbaglio di natura / il punto morto del mondo / l’anello che non tiene / il filo da disbrogliare».

Il correlativo oggettivo

La poesia di Montale quindi lascia parlare direttamente le cose. Il suo atteggiamento si avvicina alla poetica di Thomas Stearns Eliot e al suo correlativo oggettivo. Gli oggetti vengono guardati dal poeta nella loro doppia dimensione, fisica e metafisica: sono allo stesso tempo cose ed emblemi della condizione umana, segnata dalla sofferenza.

Mentre negli Ossi di seppia viene esplicitato il rapporto tra l’oggetto e l’occasione-spinta (lo stato d’animo da cui scaturisce la lirica), nelle Occasioni quest’ultima viene spesso taciuta. Il lettore viene quindi introdotto direttamente all’oggetto e di conseguenza all’argomento, senza che le intenzioni originarie vengano rivelate. Nelle Occasioni, inoltre, la poesia di Montale passa dalla condizione di sofferenza dell’uomo al dramma dell’intellettuale al tempo del fascismo. L’artista si isola in una torre d’avorio, ma la sua solitudine è un eco dell’isolamento di ciascun individuo. Da qui nasce l’esigenza di condividere la propria angoscia. La ricerca del varco avviene attraverso istantanee illuminazioni che possono essere indagate solo attraverso la ragione.

Montale: poetica e pensiero nelle ultime opere

Il malessere esistenziale è al centro anche della terza raccolta di Montale, Bufera (1956). Il mutato quadro politico e sociale del dopoguerra fa affiorare, sullo sfondo delle sue poesie, una nuova esigenza di realismo, avvicinabile alle poetiche del neorealismo. Montale tuttavia rimane lontano dalla figura dell’intellettuale impegnato. Negli anni della guerra fredda, il poeta non vede niente, né nella religione né nella politica, in grado di liberare l’uomo dall’angoscia esistenziale. Sostenitore di una morale laica, il poeta è consapevole della crisi di valori dell’Occidente e dell’impossibilità di opporsi. Decide così per il silenzio poetico.

Dopo quindici anni, però, Montale dà alle stampe una nuova raccolta, Satura (1971). Il tema centrale è proprio la fine dei valori umanistici e in generale la fine di un’intera epoca storica. Emblema di questa crisi è l’alluvione di Firenze del 1966, di cui parla la poesia L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili. Con le raccolte degli anni settanta, Montale cerca una nuova strada espressiva che consenta di sfuggire alla società di massa. Non è allora un caso se il discorso che il poeta terrà di fronte all’Accademia di Svezia in occasione della consegna del premio Nobel si intitoli È ancora possibile la poesia?:

Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? È ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).

Eugenio Montale, È ancora possibile la poesia?

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