Ultimo aggiornamento: 3 Settembre 2022

La poesia italiana del Novecento nasce dalla rottura con la tradizione precedente e la ricerca di nuove forme poetiche. La lirica moderna prende le mosse dal rifiuto del poeta vate: la poesia è sempre più un’esperienza individuale, che dà voce a inquietudini e incertezze. Su questa linea si muovono i maggiori lirici del Novecento italiano.

I “poeti vati”

La poesia dell’Italia unita era rimasta estranea alle esperienze che animavano la letteratura internazionale. In particolare, queste avevano come loro apice due raccolte: Foglie d’erba di Walt Whitman e i Fiori del male di Charles Baudelaire. Giosuè Carducci, figura centrale nella poesia italiana di fine Ottocento e vincitore del Nobel per la letteratura, prese anzi le distanze dalle innovazioni del Romanticismo e da quelle provenienti dall’estero. Piuttosto, cercò un collegamento diretto con i modelli della lirica classica. In più, Carducci si assegnò una funzione pubblica: cantare il nuovo regno d’Italia, avvicinando la monarchia alla borghesia democratica e repubblicana. Questo ruolo di poeta vate diventerà centrale nella poesia di fine secolo.

Carducci afferma la supremazia sociale del poeta, una figura che nella poesia italiana del Novecento troverà piena incarnazione in Gabriele D’Annunzio. Ma una cosa simile succede anche con Giovanni Pascoli: il poeta del fanciullino infatti considera la poesia un’attività elettiva. Pur non accettando l’etichetta di vate, anch’egli riconosce un ruolo sociale alla poesia, in quanto portatrice di valori irrinunciabili.

Rottura e “ritorno all’ordine” nella poesia italiana del Novecento

L’ingresso della poesia italiana del Novecento nella modernità è segnato dalla rottura con questi modelli. I primi, nel 1903, sono i crepuscolari, che prendono le distanze dai miti dannunziani e pascoliani. Il poeta non ha più una funzione di guida, ma è anzi una personalità in crisi che occupa uno spazio residuale nella società. Si può dire che da qui partono varie esperienza poetiche, accomunate dal rifiuto della tradizione precedente. Ciò è particolarmente evidente nel futurismo, che accelera la spinta innovativa della poesia italiana del Novecento.

Ma c’è di più. Gli autori più rappresentativi del periodo – come Ungaretti, Rebora, Pallazeschi, Gozzano, Sbarbaro – instaurano un confronto con la poesia europea e riprendono poeti fino ad allora poco valorizzati in Italia, come Leopardi, Baudelaire e Rimbaud. Da questi ultimi proviene una diversa idea di poesia, vista come avventura individuale, ricca di incognite e senza di vie di salvezza. Allo stesso tempo, però, c’è anche chi guarda alla tradizione: «ritorno all’ordine» sarà il motto dei poeti della «Ronda».

La poesia italiana del Novecento nell’età dell’ermetismo

E veniamo così a una delle fasi più importanti della poesia italiana del Novecento: la stagione dell’ermetismo. Bisogna anzitutto sgombrare la strada da un fraintendimento, quello cioè di considerare “ermetica” tutta la lirica italiana moderna. Si tratta di una confusione che risale al 1935, da quando cioè Francesco Flora coniò il termine “ermetismo” e indicò in Ungaretti un riferimento ineliminabile. La nuova corrente riprende la lezione del decadentismo francese, e assegna alla parola un valore misterico, iniziatico. Esaurite le spinte dell’avanguardia, scopo ultimo diventa la ricerca di una lirica pura, assoluta, valida per se stessa.

In realtà, negli anni trenta si affacciano nuove esperienze poetiche, e non tutte sono riconducibili a caratteri comuni. Per esempio, la definizione di “ermetici” mal si adatta alla linea anti-novecentista di Saba e alla poetica degli oggetti di Montale. Così come non sono ermetici gran parte dei poeti dialettali, che sono attivi in questi anni.

Neovanguardia e postmoderno

Le ultime fasi della poesia italiana del Novecento sono caratterizzate da esperienze tra di loro molto diverse, improntate alla sperimentazione e non riconducibili a una linea unitaria. Negli anni sessanta il Gruppo 63 porta avanti un programma ben definito di rottura e innovazione rispetto al passato. È la cosiddetta neoavanguardia, che cerca di rivitalizzare le avanguardie storiche, e in particolare futurismo e surrealismo, con la loro spinta libertaria.

In realtà, il Gruppo 63 è l’unico gruppo organizzato di contro a una moltitudine di singoli poeti. Le poetiche in senso forte entrano in crisi e si afferma la tendenza, tipica del postmoderno, di ibridare forme tra loro diverse. Gli ultimi decenni hanno inoltre visto riconoscere lo stato di poesia anche una forma rimasta prima ai margini: la canzone cantautoriale. E così, ecco che nei manuali di letteratura italiana compaiono i nomi di Dalla, De Gregori, De Andrè. Come nella narrativa, anche nella poesia quindi cultura alta e bassa si mescolano: un altro elemento proveniente dal postmoderno.

Sul web

Precedente Carlo Dossi, vita e opere
Successivo Georges Perec, vita e opere