Caratteristiche del romanzo cortese, uno dei generi più fortunati della letteratura medievale.

Le origini del romanzo cortese

Il romanzo cortese è il più noto dei generi in lingua d’oïl. Nacque a partire dalla metà del XII, come trascrizione in lingua romanza (da cui il nome) di contenuti in origine dotti, così da renderli accessibili anche a chi non conosceva il latino. Ben presto però il romanzo si trasformò in un genere a sé stante, distinto dall’epica, e si diffuse in gran parte d’Europa. La sua fortuna si deve al gusto per la narrazione che accomunava sia i lettori, sia gli autori, che componevano trame elaborate, ricche di avventure e prodigi.

Il romanzo medievale ha però delle caratteristiche che lo distinguono dal romanzo moderno. Si tratta infatti di un’ampia narrazione, scritta però non in prosa ma in rima. I metri più usati sono gli ottosillabi rimati a coppie. Altra caratteristica tipica del genere è la promozione dei valori cortesi, valori aristocratici che guidano la società ideale tratteggiata nei romanzi.

Temi e caratteristiche del romanzo cortese

Al centro del romanzo cortese troviamo la figura del cavaliere. È un modello di vita “cortese“, inteso come “elegante”, “gentile”, opposto a tutto ciò che è “villano”, “comune”. Il cavaliere è infatti dotato di prestanza fisica e nobili ideali. È inoltre chiamato a grandi imprese, delle quale egli stesso sente il richiamo, perché lo allontanano dalla banalità della vita comune. Sono però imprese difficili, in cui può essere chiamato a scelte complesse: in lunghi monologhi, dà quindi voce ai suoi tormenti. Spesso compie le sue avventure nel nome di una donna, della quale è innamorato.

Nel romanzo cavalleresco è infatti centrale il tema dell’amore cortese. L’amore è una forza assoluta, che trova giustificazione in se stesso e non richiede alcuni riconoscimento sociale. Anzi, spesso l’amore che lega il cavaliere alla donna sfida l’autorità di un terzo uomo, il marito. Non di rado, la storia d’amore termina con la morte dei due protagonisti.

Gli autori riprendono gli eventi narrati dalla storia antica, come nel caso delle opere ambientate durante la guerra di Troia o ai tempi di Alessandro Magno. La maggior parte dei romanzi, tuttavia, racconta delle imprese dei cavalieri della Tavola Rotonda. Sono storie che risalgono alle leggende celtiche e in particolare a re Artù, il mitico sovrano britannico. Si parla, in questo caso, di ciclo bretone o arturiano. Il primo a raccogliere queste leggende fu Geoffrey di Monmouth, autore della Historia regum Britanniae (1136 circa). L’opera, fu poi tradotta con il titolo di Roman de Brut (1155 circa) e ampliata dal chierico Wace.

Chrétien e gli altri autori

Molti autori si cimentarono nella scrittura di romanzi cavallereschi. Il più celebre fu però il francese Chrétien de Troyes. Attivo tra il 1160 e il 1180, scrisse varie opere. Tra queste, possediamo i testi solo di cinque romanzi: Erec et Enide, Cligès, Lancelot, Yvain, Perceval. La materia di queste opere proviene dal ciclo bretone (a eccezione del Cligés, di ambientazione greca). Vi si ritrovano temi che sono diventati classici della cultura occidentale, come la ricerca del Graal, il calice usato da Gesù nell’Ultima Cena e in cui, secondo la tradizione, Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Cristo. Lancelot, invece, racconta dell’amore tra Lancillotto e Ginevra, e sempre a Chrétiene si deve un romanzo su Tristano e Isotta, oggi perduto.

Ai romanzi cavallereschi sono legati i lais, brevi componimenti narrativi intessuti di elementi lirici. La più importante autrice di questi componimenti è Marie de France, poetessa francese attiva tra il 1160 e il 1170 circa. Vi è poi un filone di romanzi “realistici”, che rifiutano gli aspetti magici tipici delle opere arturiane. Le vicende sono ambientate in un passato vicino e i protagonisti si muovono in situazioni verosimili. Ma nonostante ciò, quello raccontato in queste opere rimane un mondo idealizzato, in cui i personaggi vivono peripezie irrealistiche.

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