Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Gabriele D’Annunzio, oltre che uno dei più importanti autori del decadentismo italiano insieme a Giovanni Pascoli, fu una figura centrale nella letteratura italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Vita

L’esteta e il superuomo

Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863. Il padre, nato Francesco Paolo Rapagnetta, era stato adottato da un facoltoso zio di cui aveva presto il cognome, e conduceva una vita sperperando denaro. Il futuro poeta studiò al prestigioso collegio Cicognini di Prato, dove iniziò a comporre i primi versi ispirati a Carducci. Dopo il diploma si trasferì a Roma per frequentare l’università, ma abbandonò quasi subito gli studi per dedicarsi al giornalismo e alla vita mondana.

D’Annunzio divenne presto un poeta in vista, al centro dell’attenzione per i suoi versi ma anche come personaggio mondano. In particolare destò scandalo nel 1883 la sua fuga d’amore con la duchessina Maria Hardouin, che si concluse con l’intervento della forza pubblica e la celebrazione di nozze riparatrici. Negli anni successivi tuttavia il poeta condusse una vita disordinata, segnata da dissolutezze e problemi economici.

Nel maggio 1889 fu pubblicato il romanzo Il Piacere, il cui protagonista è un esteta modellato sulla personalità dell’autore. Con l’opera si consuma però anche la crisi dell’estetismo: nelle opere successive D’Annunzio si rifugia nell’interiorità, in quella che viene definita la «fase della bontà». Infine, negli anni Novanta, la lettura di Friedrich Nietzsche lo porta verso una personale formulazione del superuomo. Si tratta di una evoluzione dell’esteta: il superuomo è colui che, in odio della morale borghese, deve rialzare la stirpe latina attraverso un’impresa eroica. Poesia e azione si fondono, poiché il culto del bello rimane una guida sicura per il superuomo.

Il poeta guerriero e gli ultimi anni

Nel nuovo secolo il poeta si impegna in politica. Nel 1897 fu eletto deputato per la destra conservatrice, ma pochi anni dopo cambia schieramento e si colloca a sinistra. A partire dal 1895 inizia inoltre il più celebre dei suoi amori, quello per l’attrice Eleonora Duse, che ispirerà opere come Il fuoco (1900).

Nei primi anni del Novecento D’Annunzio incontra nuovi problemi economici, che lo costringono a fuggire in Francia all’inizio degli anni dieci. Torna in Italia nel 1914, per sostenere l’ingresso del paese nella prima guerra mondiale. Nel maggio 1915 (il «maggio radioso») tenne una serie di discorsi in favore degli interventisti e durante il conflitto partecipò ad alcune azioni militari con il suo aereo. Proprio durante il conflitto batté con violenza la tempia contro una mitragliatrice e perse l’uso dell’occhio destro. Le cure lo costrinsero a trascorrere lunghi giorni al buio, durante i quali compose il Notturno (1821). Rimessosi, partecipò a nuove azioni e nel dopoguerra sostenne le tesi della «vittoria mutilata» e occupò la città libera di Fiume.

Con l’avvento del fascismo, D’Annunzio fu esaltato come il Vate, ma allo stesso tempo fu messo da Mussolini ai margini della vita pubblica. Gli furono assegnati il titolo di principe di Monteventoso, un mantenimento vitalizio e una fastosa villa sul lago di Garda, il Vittoriale degli Italiani. Tra lussi sfrenati, il poeta si spense improvvisamente il 1° marzo 1938.

Opere

Le poesie

Gabriele D’Annunzio esordì giovanissimo come poeta. I primi componimenti, ispirati al modello carducciano, erano testi patriottici e celebrativi. In Canto novo (1882) mostra un vitalismo ispirato ai classici e uno stile lirico particolarmente ricercato e prezioso. L’adesione agli ideali nietzscheani del superomismo negli anni novanta porta a un’evoluzione nella poesia dannunziana. All’inizio del Novecento vede la luce la sua più importante opera poetica, le Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi.

Nel 1903 vengono pubblicati i primi tre volumi della raccolta, che in origine ne prevedeva in totale sette: Maia, Elettra, Alcyone. La prima in particolare è il racconto di un viaggio del poeta in Grecia, durante il quale assorbe la lezione degli antichi, attraverso cui trasfigura la modernità mostrandone gli aspetti mitici.

È però con la raccolta Alcyone che raggiunge i risultati più alti, tali da influenzare la poesia dei primi anni del Novecento. Le poesie di Alcyone si caratterizzano per la ricerca di fusione tra uomo e natura, la ricerca di un appagamento dei sensi e la musicalità del verso. Il tono è enfatico, la poesia si regge su una complessa rete di simboli e di analogie. Il poeta si identifica con gli elementi naturali che incontra, e questi si trasfigurano e si potenziano.

I romanzi e la narrativa

I primi esempi della narrativa dannunziana risentono delle esperienze del verismo e del naturalismo francese. Nelle raccolte di novelle Terra vergine (1882) e Novelle della Pescara (1902) la scena è ambientata nel natio Abruzzo, visto però con il gusto decadente per l’irrazionale e il barbarico.

Il suo primo romanzo, Il Piacere (1889), dimostra invece che D’Annunzio ha assimilato le poetiche dell’estetismo presenti in À rebours di Huysmans. Dell’estetismo, però, è messa in evidenza anche la crisi, che conduce alla cosiddetta «fase della bontà», con un ripiegamento verso l’interiorità dell’autore. Il superamento della figura dell’esteta si ha con il Trionfo della morte (1894): il protagonista, ancora una volta un esteta, è roso da una malattia inferiore che lo condurrà al suicidio.

D’Annunzio può così abbracciare il superomismo nietzscheano, che segnerà il romani successivi, a cominciare da Le vergini delle rocce (1895), passando per Il fuoco (1900) e Forse che sì forse che no (1910).

Il teatro

A partire dal 1896 D’Annunzio si dedica anche al teatro, scrivendo tragedie ispirate al superomismo. A differenza dei coevi drammi borghesi, che portavano in scena eventi tratti dalla vita quotidiana, D’Annunzio si dedica a un teatro letterario e poetico, con un linguaggio aulico e ricercato. I temi delle sue opere sono ripresi, di volta in volta, dal mito o da avvenimenti storici, raccontati però con gusto per l’esotico e per tutto ciò che è prezioso. E anche quando ambienta i suoi drammi nel presente, le sue scelte poetiche ricercate lo pongono lontano da quelle del teatro borghese.

Il più celebre dramma di D’Annunzio è La figlia di Jorio (1904), ambientata in un Abruzzo barbarico e primitivo, in cui dominano la magia e la superstizione, secondo un gusto tipicamente decadente.

Il Notturno

Un discorso a parte merita il Notturno, una delle opere più sperimentali della letteratura italiana del Novecento. Scritto durante il periodo di convalescenza per un incidente agli occhi (nel 1916), mentre lo scrittore era costretto in una stanza buia, si compone di una serie di riflessioni intime. D’Annunzio, impossibilitato a usare la vista, ripiega sugli altri sensi e sulla sua interiorità. Esplora così i propri ricordi e i propri sentimenti, in un viaggio attraverso se stesso.

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