Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Giovanni Verga è stato il massimo teorico e autore del verismo.

Vita

Giovanni Carmelo Verga nacque a Vizzini, in provincia di Catania, il 2 settembre 1840. La sua era una famiglia della piccola nobiltà terriera catanese. Frequentò senza regolarità la facoltà di giurisprudenza, preferendo dedicarsi alla letteratura e alla vita mondana. Nel 1860, quando i garibaldini arrivarono in Sicilia, Verga si arruolò volontario nella Guardia Nazionale, e dopo l’unità d’Italia trascorse alcuni anni a Firenze, dove intrecciò rapporti con altri letterati. Pubblica altri romanzi sentimentali, come Storia di una capinera (1871), Eros e Tigre reale (1875).

Tra il 1872 e il 1893 visse a Milano, che all’epoca era la città culturalmente più vivace del paese. Verga strinse nuovi legami con letterati e intellettuali, e iniziò sviluppare le idee poetiche alla base del verismo. Il passaggio alla letteratura verista iniziò con il bozzetto Nedda (1874) e proseguì con la pubblicazione di alcune novelle e dei romanzi I Malavoglia (1883) e Mastro-don Gesualdo (1889). Lo scrittore si impegnò nella promozione delle sue opere e della sua poetica, però con scarsi successi.

Negli anni Novanta Verga si dedicò a opere teatrali tratte da alcune delle sue novelle più famose. Tra queste, la Cavalleria rusticana, che fu musicata da Pietro Mascagni nel 1890. Prima della fine del secolo lo scrittore entrò in una fase di inaridimento creativo. Si ritirò nella sua casa di Catania, limitandosi a gestire il suo patrimonio terriero. Lontano dagli ambienti letterari, si spostò su posizioni politiche sempre più conservatrici. Nel 1920, in occasione dei suoi ottant’anni, fu nominato senatore del regno. Morì a Catania il 27 gennaio 1922.

Opere

Le opere del periodo pre-verista

Giovanni Verga ebbe una formazione letteraria molto particolare, ben diversa da quella tradizionale. Fin dalla giovinezza si appassionò infatti ai romanzi popolari, come quelli di Dumas e Sue, e i romanzi storici italiani, che all’epoca godevano di un buon successo. All’età di dieci anni scrisse Amore e patria, un romanzo dai toni patriottici. Nel 1861-62 pubblicò invece a proprie spese il secondo romanzo, I carbonari della montagna. Successivamente si orientò verso romanzi sentimentali, tra cui Storia di una capinera (1871), Eros e Tigre reale (1875).

Le novelle

A partire da bozzetto Nedda (1874) inizia quella che viene definita la svolta verista di Verga. L’evoluzione giunse a maturazione con la novella Rosso Malpelo, pubblicata nella raccolta Vita dei campi. Lo scrittore racconta scene tratte dalla Sicilia rurale, mettendo in pratica la sua poetica e la sua attenzione per il vero. Negli anni Ottanta e Novanta pubblicò le raccolte:

  • Vita dei campi (1880)
  • Novelle rusticane (1883)
  • Per le vie (1883)
  • Drammi intimi (1884)
  • Vagabondaggio (1884)
  • I ricordi del capitano d’arce (1891)
  • Don Candeloro & C.i (1894)

I Malavoglia

Negli anni settanta Verga progettò anche un ciclo di cinque romanzi, dedicato ai Vinti. Il primo volume comparve nel 1881 ed era la storia di una famiglia di pescatori siciliani: I Malavoglia. La sua poetica lo discosta dalla narrativa di impostazione manzoniana. Come precisato nell’introduzione al romanzo, Verga vuole studiare le passioni che muovo la «fiumana del progresso». Tra i più poveri, infatti, questi meccanismi si possono vedere più chiaramente nella loro incarnazione più semplice. Nei Malavoglia, in particolare, viene raccontata la vicenda umana di una famiglia di pescatori che cerca di elevare la propria posizione sociale ed economica dandosi alla vendita di lupini. Il tentativo fallisce miseramente ed è alla base di nuove disgrazie che si abbatteranno sui protagonisti.

Lo scrittore siciliano esprime così tutto il suo pessimismo e fatalismo, ben rappresentato dall’ideale dell’ostrica enunciato in Fantasticheria. Secondo una legge di natura non è possibile elevarsi dalla propria condizione di minorità, senza incappare in sciagure e peggiorare la propria condizione. Così come l’ostrica che, staccatasi dallo scoglio, finisce vittima del coltello del palombaro.

Mastro-don Gesualdo

Il secondo volume del Ciclo dei Vinti, Mastro-don Gesualdo, fu pubblicato nel 1889. Con questo romanzo, l’attenzione dello scrittore si sposta dai pescatori al borghese arricchito che tenta di essere accettato tra i nobili. Ogni suo sforzo è però vano: riceverà solo disprezzo, sia dall’aristocrazia sia dai popolani. Verga conferma così ancora una volta il suo pessimismo. Rispetto ai Malavoglia, tuttavia, qui non siamo più di fronte a un romanzo corale, con protagonista un’intera famiglia. Il centro della narrazione è invece occupato da Gesualdo Motta, il manovale arricchitosi diviso tra i suoi spregiudicati tentativi di scalata sociale, la delusione e l’ingiustizia che deve subire.

Il Mastro-don Gesualdo rappresenta anche l’ultima opera del Ciclo dei Vinti: Verga infatti non scrisse mai gli altri tre romanzi che aveva progettato. Molto probabilmente questo fu dovuto all’inaridimento della vena creativa dell’autore dopo gli anni Ottanta. Inoltre, lo stile verista mal si adattava a narrare e descrivere i ceti più elevati che le ultime opere dovevano affrontare.

Opere teatrali

Negli anni Novanta si intensificò anche l’attività di Verga come autore teatrale. Fondatore del teatro verista, si concentrò sulla trasposizione drammatica di alcune delle sue novelle più celebri, su tutte La cavalleria rusticana. Sono però opere stanche, che nulla aggiungono rispetto ai risultati già ottenuti con le novelle e i romanzi.

Sul web

Precedente Giosue Carducci, vita e opere
Ritratto di Gabriele D'Annunzio Successivo Gabriele D’Annunzio, vita e opere