Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre 2021

Negli ultimi due decenni del XIX secolo una nuova corrente si diffonde nella letteratura europea: il decadentismo. Portando all’estremo alcune istanza del Romanticismo e opponendosi al positivismo, questa corrente rivoluziona la poesia concentrandosi su temi come l’irrazionale, la morte, la corruzione (fisica e morale), la malattia.

Decadentismo: una definizione

Innanzitutto bisogna affrontare una questione preliminare: cosa intendiamo quando parliamo di decadentismo? Confrontando diversi libri di storia della letteratura si noterà che non c’è accordo sulla sua durata. Per alcuni critici rientrano in questa corrente tutti gli autori attivi fino al primo dopoguerra, mentre per altri arriva ad abbracciare tutto il Novecento. Il problema è complesso. Nel decadentismo sono infatti riconoscibili elementi già presenti nel Romanticismo, e si può quindi parlare di una continuità tra i due movimenti. D’altra parte, la letteratura decadente influenzerà anche correnti e autori del primo Novecento, come Proust, Mann, Svevo, Pirandello. In generale oggi si tende però a considerare il decadentismo europeo come un fenomeno culturale e artistico sviluppatosi negli ultimi due decenni dell’Ottocento. Gli autori di questo periodo sono accomunati da un senso di decadenza e di fine della civiltà, che vengono però vissuti con un certo autocompiacimento per la propria dissoluzione.

Origini e sviluppo del decadentismo

Come data di inizio del decadentismo viene indicato il 26 maggio 1883, giorno in cui Paul Verlaine pubblicava a Parigi su «Le Chat Noir» il sonetto Langueur. Il poeta paragona la sua condizione di noia, indolenza e solitudine al declino dell’impero romano, di cui assume tutte le caratteristiche negative, dalla corruzione all’incapacità di far fronte ai pericoli e alla fuga in piaceri raffinati. Era questo un atteggiamento diffuso tra gli intellettuali bohémien dell’epoca, che si opponevano all’etica borghese sostenendo atteggiamenti provocatori. Modello di questo atteggiamento era il maledettismo di Baudelaire. Il termine “decadentismo” fu quindi utilizzato, con toni spregiativi, dai critici dell’epoca e fu accolto dai poeti di questa corrente. Nel 1886 nacque quindi un periodico intitolato «Le Décadent», che divenne portavoce delle nuove del nuovo movimento. Negli anni successivi le nuove istante superarono i confini della Francia, trasformando  il decadentismo in un fenomeno culturale e artistico di portata europea.

Il poeta veggente

I decadenti rifiutarono il positivismo, accusato di essere alla base della mentalità borghese, e abbracciarono piuttosto un irrazionalismo misticheggiante. La scienza non può conoscere la verità profonda del reale, che è misteriosa. Tutte le cose sono legate da analogie e corrispondenze, e anche tra io e mondo non c’è un confine netto. L’arte diventa così uno dei momenti privilegiati per la conoscenza, e il poeta è un veggente, capace di penetrare nuove dimensioni dell’essere. Gli stati di alterazione della coscienza diventano quindi strumenti per cogliere il mistero: diventano centrali temi come la malattia, la nevrosi, la follia, il sogno. Stati di alterazione possono essere raggiunti anche grazie all’alcol e a droghe (oppio, hashish). Accanto a questo ci sono poi stati di estasi in cui l’io si fonde con il Tutto: è il panismo. Talvolta inoltre avvengono epifanie, ovvero piccoli dettagli che si caricano di significati profondi.

La rivoluzione poetica del decadentismo

Questa concezione del ruolo del poeta porta a un rinnovamento del linguaggio poetico. La parola diventa evanescente, vaga, imprecisa, non descrive immagini nitide ma evoca sensazioni misteriose. La poesia decadente è quindi una poesia per pochi raffinati, che rifiuta il pubblico borghese e la sua mediocrità. Viene prestata particolare attenzione alla musicalità del testo: la musica è infatti considerata come la più elevata delle arti, capace di creare estasi e misteriose suggestioni. Per questo la parola non viene usata per il suo esatto significato, ma per il suo suono, e spesso vengono impiegate onomatopee. Altra caratteristica della poesia decadente è l’uso di figure retoriche come la metafora, il simbolo e la sinestesia. Il poeta coglie relazioni nascoste tra realtà remote e diverse, alludendo a significati misteriosi.

L’arte per arte: l’estetismo

Se l’arte diventa un valore assoluto, le si deve tributare un culto religioso. Una delle figure principali del decadentismo è l’esteta, che assume il bello come regola per la propria vita. Questa scelta lo pone al di là della morale comune e di tutto ciò che è mediocre e borghese. Ricerca piuttosto ciò che è eccezionale e raffinato, colleziona oggetti belli e rari, trasforma ogni atto della propria vita in materiale per un’opera d’arte. Ogni aspetto, anche banale, della realtà viene associato a un’immagine artistica o a un verso poetico. Principali teorici dell’estetismo sono stati gli inglesi John Ruskin e Walter Pater, le cui idee vengono riprese nel romanzo À rebours del francese Joris-Karl Huysman. Tra i massimi esponenti dell’estetismo ci sono poi Oscar Wilde e Gabriele d’Annunzio. Per questi scrittori, l’arte non deve rappresentare la realtà ma si chiude in se stessa, abolendo ogni fine utilitaristico.

Decadenza, malattia, morte

Il senso di stanchezza si traduce nell’ammirazione per le epoche di decadenza morale e politica, durante le quali l’arte ha saputo produrre opere di straordinaria raffinatezza. Vengono quindi presi a modello la Grecia alessandrina, il tardo impero romano e l’età bizantina. In generale, i decadenti risentono del fascino morboso per la morte e la corruzione. Collegato a questo è il tema della malattia, non solo mentale ma anche fisica. La malattia, d’altra parte, è considerata come un punto di vista privilegiato da cui guardare la realtà. E anche l’eros abbraccia la perversione e la crudeltà. Grande è l’interesse per l’opera di Sade e per il sadismo, che trova un suo complemento nel masochismo (il cui nome deriva proprio da un autore di questa epoca, Leopold von Sacher-Masoch).

L’inetto a vivere

Un’altra figura centrale del decadentismo è l’inetto a vivere. È un personaggio che ritorna spesso nella letteratura della seconda metà dell’Ottocento, a partire dalle Memorie del sottosuolo (1865) di Fëdor Dostoevskij. L’inetto è un debole che vorrebbe partecipare alla vita intorno a sé, ma ne è escluso a causa di una malattia morale lo corrode dall’interno e ne infiacchisce la fibra vitale, costringendolo a un’esistenza frustrante. Incapace di appagare i suoi desideri, si rifugia quindi nella fantasia, sognando azioni eroiche. Antitetica all’inetto è la femme fatale, la donna vampira che sottomette il maschio fragile e ne asciuga le energie. Perversa e crudele, la donna è nemica dell’uomo, lo ammalia e lo porta alla perdizione. Ne sono esempi le donne dei romanzi di d’Annunzio, la Salomè di Wilde e Wanda, la protagonista di Venere in pelliccia di Sacher-Masoch.

Il superuomo

Dalla filosofia di Nietzsche deriva invece la figura del superuomo, che viene fatta propria da d’Annunzio nei romanzi Le vergini delle rocce (1895) e Il fuoco (1900). Antitetico all’inetto, il superuomo dannunziano diventa espressione di vitalismo, combatte la debolezza e la malattia ricorrendo alla violenza e alla forza barbara. Assume su di sé un ruolo eroico, si dimostra sicuro e lontano da qualsiasi dubbio o tentennamento. Nella poetica dannunziana risponde inoltre a precisi ideali politici: la rigenerazione dell’Italia e la cancellazione delle forze disgregatrici, individuate nella democrazia e nel liberalismo. Tuttavia, a una più attenta analisi anche questi personaggi aristocratici rivelano tratti di debolezza. Le imprese tanto decantate sono infatti sempre rimandate a un impreciso futuro, e l’eroe è spesso vittima di una donna vampiro, che ne frustra le aspirazioni. Anche il superuomo, quindi, si rivela al fondo un personaggio tipicamente decadente.

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