Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Il pensiero di Søren Kierkegaard (1813-1854), tra i più influenti filosofi del Romanticismo, si è soffermato sui temi del Singolo e dell’esistenza. Nella sua filosofia ha rivendicato l’importanza della fede cristiana e dell’esistenza individuale del singolo, in quella che è anzitutto una ricerca sull’esistenza umana.

Pensiero e comunicazione in Kierkegaard

Nel pensiero di Kierkegaard la comunicazione è uno degli aspetti fondamentali. Il filosofo danese scrisse le sue opere principali in un lasso di tempo molto breve, compreso tra il 1843 e il 1855. Queste possono essere suddivise in due gruppi in base al tipo di comunicazione adottata:

  • comunicazione diretta: sono le opere firmate dall’autore, per lo più di argomento religioso;
  • comunicazione indiretta: le grandi opere pubblicate pseudonime, tra cui
    • Aut-Aut (1843) di Victor Eremita,
    • Timore e Tremore (1843) di Johannes de Silentio,
    • La ripetiozione (1843) di Constantin Constantius,
    • Briciole di filosofia (1844) e Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia (1846) di Johannes Climacus,
    • Il concetto di angoscia (1844) di Vigilius Haufniensis,
    • Stadi sul cammino della vita (1845) di Hilarius Bogbinder,
    • La malattia mortale (1849) e Esercizio di cristianesimo (1950) di Anti-Climacus.

A queste si aggiungono le opere non scritte per la pubblicazione, come i diari.

Ma perché adottare tutti questi pseudonimi? È un vero e proprio teatro delle maschere, in cui personaggi diversi dialogano tra di loro da un’opera all’altra. Lo scopo è infatti realizzare una comunicazione d’esistenza, cioè una comunicazione che trasforma l’interlocutore. Nel pensiero di Kierkegaard anche il cristianesimo, la più alta verità, è una comunicazione d’esistenza.

Vita estetica e vita etica

Nel pensiero di Kierkegaard, per l’uomo ci sono tre stadi vita: l’estetico, l’etico e il religioso. I primi due sono al centro della sua opera più importante: Aut-aut (Enten-Eller).

L’esteta è l’uomo che vive per momenti: cerca nuovi piaceri e nuove sensazioni, che durano solo per l’attimo presente. Kierkagaard lo rappresenta attraverso varie figure: Don Giovanni, Faust, il seduttore Johannes (nel Diario del seduttore). L’esteta però non compie scelte, non si impegna nella realtà, ma si muove unicamente nelle infinite possibilità dell’immaginazione, senza riuscire a essere sé. Questa situazione sfocia nella disperazione: l’esteta può essere tutto ma in realtà non è niente. Dalla disperazione si può cercare di sfuggire attraverso la distrazione (portando però l’anima a perdersi), oppure compiendo una scelta.

Con questa secondo opzione si entra nello stadio dell’etico. Chi segue l’etica conduce una vita ordinata, accetta le responsabilità, i doveri e gli incarichi, è un buon marito e un buon cittadino. La vita etica però non è immune da critiche. Seguire le regole implica l’adeguarsi al conformismo, che finisce per svuotare il singolo della sua soggettività. Il ruolo sociale schiaccia l’individuo e poco alla volta lo porta al peccato.

La sfera del religioso

Sfuggire alla disperazione è però possibile grazie allo stadio religioso, di cui parla Timore e tremore. Anche in questo caso Kierkegaard ricorre a una figura, quella di Abramo, che obbedisce al Signore che gli chiede di sacrificare il figlio Isacco. Abramo non coglie né il senso né la giustizia della richiesta di Dio, eppure gli obbedisce. Il patriarca biblico deve allora scegliere tra la sua fede e le norme della morale, ed è così posto davanti a una contraddizione che non prevede mediazioni. Si tratta di una scelta personale, che riguarda solo lui, e che non può essere condivisa con altri. Questa è la condizione dell’uomo: deve scegliere tra credere o non credere, e si tratta di una scelta che avviene nel paradosso.

Il fatto di essere costantemente posto di fronte a dover scegliere tra diverse possibilità, fa sì che l’esistenza dell’uomo sia segnata dall’angoscia. Ed è la libertà di potere che genera il sentimento dell’angoscia. Anche il peccato originale è una possibilità che si è attualizzata in Adamo e che rivive in ogni essere umano. È una rottura rispetto all’innocenza originaria, cioè all’ignoranza dell’uomo che, nella condizione della naturalità, non è determinato come spirito, e non è consapevole della differenza tra bene e male. Avendo acquisiti la coscienza di sé, e di cosa siano il bene e il male. L’angoscia è la condizione che ha reso possibile il passaggio dall’innocenza al peccato: è la vertigine della libertà, che caratterizza la vita dell’essere umano.

Lo scandalo di Cristo nel pensiero di Kierkegaard

Lo stadio religioso è la sfera più alta dell’esistenza. Tuttavia la fede non è da intendersi come una consolazione. Piuttosto, si tratta di accettare il paradosso e lo scandalo di Cristo, cioè di Dio che si abbassa a uomo, diventa maestro ma allo stesso tempo si fa servo per la redenzione. Il cristianesimo genera scandalo perché non si accetta che a Dio possa interessare il peccato dell’uomo. Tuttavia, la cristianità moderna ha eliminato lo scandalo riducendo il cristianesimo a una dottrina, in cui Cristo è un’unità speculativa di Dio e uomo. Ma in realtà Cristo è segno di contraddizione, è paradosso, che segna la vita verso la verità.

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