Ultimo aggiornamento: 21 Maggio 2023

L’italiano è una lingua romanza o neolatina: la lingua italiana cioè ha avuto le sue origini dal latino. Quella delle lingue romanze è una famiglia molto ampia. Oltre all’italiano comprende anche il francese, lo spagnolo, il portoghese, il ladino e molti altri idiomi tuttora parlati. È bene però ricordare da subito che queste lingue sono evoluzioni non del latino classico (quello usato dagli scrittori latini nelle loro opere letterarie). Derivano invece dal latino volgare, cioè il latino parlato che veniva usato nella quotidianità dal popolo (vulgus in latino).

L’Italia preromana e romana

Per la sua posizione geografica, che si allunga nel mar Mediterraneo, la penisola italiana è stata crocevia degli spostamenti tra Europa, Africa e Medio Oriente. Sui territori della penisola e nelle isole circostanti si sono quindi stanziati popoli diversi. Molti di essi però parlavano una lingua derivata da un ceppo comune: l’indo-europeo. Attorno al 1500 a.C. si ha notizia della presenza di vari gruppi: siculi, osco-umbri, iàpigi, messàpi, enotri, ausoni, latini, veneti e celti. C’erano però anche popolazioni che si erano stanziate nella penisola in un’epoca precedente. Vengono indicate come mediterranei: etruschi, sardi, sicani, piceni, reti e liguri. Alcune zone della Sicilia e della Sardegna erano poi state occupate dai fenici, che appartenevano alla famiglia semitica e provenivano dal Nord Africa. I greci invece avevano fondato colonie in Italia meridionale e in Sicilia. La situazione linguistica e culturale della penisola era quindi molto complessa e variegata.

Attorno all’VIII secolo a.C. un nucleo di latini fondò la città di Roma. Durante il III e il II secolo a.C. la città espanse il proprio dominio, diventando il centro più potente di tutto il Mediterraneo. Al momento della sua massima estensione, durante il regno di Traiano (98-117 d.C.), l’impero romano comprendeva gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. Con l’espansione militare e politica, si diffuse in queste aree il latino, una lingua che poteva vantare una grammatica codificata e una importante tradizione letteraria.

I diversi tipi di latino

Fin da subito ci furono però due diversi latini:

  • il latino classico, la lingua ufficiale della cultura, usata dagli scrittori e ritenuta il latino per eccellenza;
  • il latino volgare, la lingua usata quotidianamente dal popolo e diffusa in tutti i territori dell’Impero romano.

Nella penisola italiana, nelle Gallie, nella penisola iberica e in parte dei Balcani ii latino volgare si radicò profondamente. Questo non accadde, invece, nelle regioni orientali dell’impero, in cui si parlava prevalentemente il greco.

Dal latino alle lingue romanze

Quando l’Impero romano d’Occidente crollò nel 476 d.C., il latino continuò ad avere un ruolo importantissimo nella storia linguistica dell’Europa. Nell’Alto Medioevo il latino classico diventò la principale lingua di cultura. Fino al XVIII secolo, nell’Europa centro-occidentale e settentrionale, era normale che trattati di discipline filosofiche e tecnico-scientifiche fossero scritti in latino.

Il latino volgare, invece, scomparve in vaste aree di quello era stato l’Impero romano (Nord Africa, Grecia e parte della penisola balcanica, Medio Oriente, territori occupati da britanni e germani). Nelle regioni dove sopravvisse continuò a evolversi. Molti furono i fattori che contribuirono a questa trasformazione:

  • la distribuzione dei parlanti su un vasto territorio,
  • la diffusione del cristianesimo (che introdusse termini di origine greca utilizzati nella teologia),
  • i contatti con i greci bizantini (dal 584 al 751 Ravenna fu capitale dell’Esarcato bizantino),
  • la fusione tra la società romana e i popoli di stirpe germanica (franchi, longobardi, goti, vandali e molti altri).

Furono trasformazioni che riguardarono molti aspetti della lingua, dalla fonologia, alla morfologia e al lessico. Nacquero così nuovi idiomi: le lingue neolatine o romanze. Alcune di queste lingue si sono affermate nel corso dei secoli, diventando lingue nazionali.

La penisola italiana e le origini della lingua italiana

Nella penisola italiana la situazione fu particolarmente complessa: fino al XIX secolo non ci fu mai un’unità politica e linguistica. Nell’Alto Medioevo l’instabilità indusse la popolazione a lasciare la città per rifugiarsi in piccoli centri, più facilmente difendibili dalle incursioni. Solo dopo l’anno Mille le città tornarono a essere centri importanti e le condizioni economiche e sociali migliorarono. Da allora, però, la penisola rimase divisa in stati medio-piccoli, spesso in guerra tra di loro. La presenza di dominatori esterni, inoltre, era un ulteriore fattore di conflittualità. Questi facevano leva sulle rivalità tra gli stati regionali per affermare il proprio potere.

La mancanza di un assetto politico unitario fu una delle cause della frammentazione linguistica. Nella penisola italiana il latino volgare si evolse in diversi dialetti, con differenti caratteristiche grammaticali e lessicali.

Il fiorentino letterario del Trecento

A partire dall’VIII secolo si fece sentire la necessità di dare una forma scritta non solo al latino, ma anche alle lingue volgari. Un primo importante esempio fu il Giuramento di Strasburgo (843), che fu stipulato tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, nipoti Carlo Magno. Fu redatto in tre lingue: non solo in latino, ma anche in francese antico e tedesco francone renano. I primi testi scritti in volgare italiano si trovano in documenti notarili o giudiziari risalenti ai secoli VIII-XI. In area umbra si ebbero poi i primi testi letterari, riconducibili alla spiritualità francescana del XIII secolo.

Sempre nella prima metà del secolo si ebbe il primo tentativo di fondare una lingua volgare di alto profilo. Ne fu artefice l’imperatore Federico II di Svevia, sovrano del Regno di Sicilia e mecenate. Il re prese l’iniziativa di diffondere in tutta la penisola una poesia in volgare siciliano. I modelli della lirica siciliana, che a loro volta riprendevano temi della coeva poesia provenzale e francese, si diffusero in tutta la penisola. In particolare in Toscana fiorì un’importante scuola poetica. Al volgare toscano di Firenze iniziò così a essere riconosciuto il primato letterario tra le lingue parlate nella penisola.

Dante e le origini della lingua italiana

Il primo a fornire delle norme sull’uso del volgare toscano fiorentino fu Dante Alighieri. Il poeta dedicò al tema della lingua un trattato in latino: il De vulgari eloquentia (1303-1305). L’opera divenne presto un punto di riferimento ineludibile per il dibattito sulla lingua in Italia. È inoltre considerata un punto di riferimento per comprendere le origini della lingua italiana. Passando in rassegna tutte le lingue, tentò di individuare quale fosse il volgare più illustre. Un volgare, cioè, che potesse collocarsi al di sopra delle altre lingue locali e potesse gareggiare, per prestigio, con le altre lingue letterarie d’Europa (in particolare il francese e il provenzale).

Al fondo di questa riflessione c’era già la consapevolezza che nella penisola esisteva una civiltà italiana e che la lingua fosse un importante elemento di unità. Queste riflessioni portarono Dante a comporre la sua opera più importante, la Divina Commedia. Il poema, massimo capolavoro della civiltà medievale, è scritto in una lingua che ha per base il fiorentino. Tuttavia assorbe anche termini provenienti dal latino, dal francese, dal provenzale e da alcuni ambiti regionali. La Divina Commedia ebbe una rapida fortuna e si diffuse in tutte le regioni.

Il rapporto tra Firenze e la lingua italiana (di cui Dante è considerato il padre) si rafforzò nel Trecento con la generazione successiva a quella di Dante. I principali rappresentanti furono Francesco Petrarca, autore del Canzoniere (1336-1374), e Giovanni Boccaccio, con il suo Decameron (1350-1353).

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