Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Nell’Ottocento prosegue il secolare dibattito sulla questione della lingua, e Manzoni rappresenta una figura centrale sia per le sue opere sia per la sua riflessione linguistica.

Il dibattito tra classicisti e romantici

Tre sono le posizioni in cui è possibile riassumere il dibattito del primo Ottocento sulla questione della lingua.

  • La posizione purista, il cui principale rappresentante su Antonio Cèsari, sosteneva il ritorno alla purezza originaria della lingua trecentesca.
  • La posizione classicista, sostenuta da intellettuali come Vincenzo Monti, discendeva da posizioni illuministe e proponeva una modernizzazione dell’italiano. Con la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca (1816-1827), Monti sostenne l’idea che la lingua dovesse evolvere e arricchirsi. Non deve quindi limitarsi al solo fiorentino, ma accogliere termini ed espressioni provenienti dalle tradizioni linguistiche cittadine.
  • La posizione romantica è rappresentata, a vario titolo, da intellettuali come Ludovico Di Breme e Giuseppe Borsieri. Quest’ultimo individua i caratteri che deve avere una lingua letteraria comune: essa nasce da un tessuto cultura che accomuna tutte le fasce della società, dalle più umili alle più elevate.

Le teorie romantiche sulla lingua troveranno il loro culmine nelle opere di Alessandro Manzoni.

L’unità d’Italia e il problema dell’italiano

All’unificazione della penisola seguì una serie di emergenze per il neonato governo nazionale. Tra queste, c’era anche la questione della lingua a cui Manzoni tentò di trovare una soluzione. L’italiano era, all’epoca, sostanzialmente una lingua morta, che esisteva solo nei libri e nelle opere letterarie. Al di fuori della Toscana, solo chi aveva ricevuto un’educazione letteraria padroneggiava quella che sarebbe diventata la lingua nazionale. La gran parte della popolazione della penisola, da nord a sud, si esprimeva esclusivamente in dialetto. Nei ceti più elevati si usava inoltre parlare in francese, che aveva acquisito un grande prestigio culturale a livello internazionale.

Si poneva così una questione particolarmente complessa. I dialetti parlati nel regno d’Italia differivano sensibilmente l’uno dall’altro, rendendo difficile la comunicazione tra cittadini dello stesso stato. Quello di una unificazione linguistica divenne quindi un problema urgente.

Questione della lingua e Manzoni

In questo contesto si inserisce anche Manzoni. Nel 1868 lo scrittore ricevette dal ministro della Pubblica istruzione Emilio Broglio il compito di presiedere una doppia commissione, milanese e fiorentina, il cui scopo era di individuare provvedimenti utili per diffondere l’italiano in tutto il regno. Al termine dei lavori, la doppia commissione rifiutò però le soluzioni proposte da Manzoni, che le raccolse e pubblicò nella sua relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868).

L’interesse di Manzoni per la questione della lingua risaliva a decenni prima: basti pensare all’intenso lavoro di rifinitura linguista dei Promessi sposi, che lo occupò tra l’edizione del 1827 e quella del 1840. Anche dopo avere abbandonato la letteratura, lo scrittore proseguì la sua riflessione linguistica, che lo poneva su posizioni fiorentiniste. Oltre alla relazione di cui si è detto, raccoglierà queste riflessioni in altre opere, come la lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana (1847), il Saggio di vocabolario italiano secondo l’uso di Firenze (avviato nel 1856 con Gino Capponi) e il trattato Della lingua italiana (1830-1859).

La sua proposta, presentata alla doppia commissione, prevedeva di diffondere la lingua fiorentina nelle scuole elementari. Partendo dalla sua esperienza letteraria, Manzoni sosteneva infatti che solo il fiorentino, tra tutti i dialetti parlati in Italia, avesse il prestigio culturale, storico e letterario che gli erano necessari per imporsi sugli altri. Per farlo, proponeva di fare leva sulla scuola, attraverso l’impiego di docenti fiorentini o ben educati all’uso del fiorentino. Inoltre, prevedeva che ogni classe avesse a disposizione un dizionario di fiorentino, da consultare in caso di dubbio.

La questione della lingua dopo Manzoni: Ascoli, De Amicis e altri

La proposta di Manzoni, sebbene sostenuta da motivazioni di ordine storico e culturale, era troppo ottimistica. Le scuole dell’Italia postunitaria versavano in condizioni pessime e non disponevano dei fondi necessari per attuare simili provvedimenti, che quindi rimasero disattesi. Le opere di Manzoni aprirono però un vivace dibattito tra letterati e linguisti.

Una differente proposta arrivò dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia 1829 – Milano 1907). Nel Proemio al primo fascicolo dell’Archivio Glottologico Italiano (1873) sostenne un modello di tipo policentrico. Partendo dal presupposto che Firenze avesse perso ormai da tempo la sua centralità culturale, Ascoli sosteneva che l’unità linguistica non poteva essere imposta centralmente dallo stato. Piuttosto, doveva nascere e maturare autonomamente nella società attraverso l’uso quotidiano. Né si poteva, d’altronde, cancellare tutti i dialetti, perché costituivano un pezzo di storia delle tante Italie che si dovevano fondere con l’unità politica.

Alla fine però fu la proposta manzoniana ad avere la meglio. La sua diffusione però avvenne con delle radicali riduzioni rispetto alla sua vasta portata iniziale. Quello che si diffuse nelle scuole fu infatti un fiorentinismo di maniera, usato solo come punto di riferimento. Allo stesso tempo, nacque un vero e proprio culto dei Promessi sposi, visti come un modello linguistico e letterario da studiare e imitare.

Sul web

Ritratto di Verga Precedente Giovanni Verga: pensiero e poetica
Successivo Dei sepolcri: analisi e significato