Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Il pensiero di Manzoni ruota attorno ad alcuni temi fondamentali: la rottura con la tradizione neoclassica, l’adesione al vero storico, la visione provvidenziale della realtà, la riflessione sulla lingua.

Il pensiero di Manzoni prima e dopo la conversione

Nella vita e nel pensiero di Manzoni c’è un prima e un dopo la conversione al cattolicesimo. Negli anni giovanili Manzoni si era avvicinato al gusto neoclassico di moda in quel periodo, prendendo a modello le opere di Vincenzo Monti. Nelle sue prime opere esalta quindi la rivoluzione francese ed esprime amarezza per il tradimento dei valori rivoluzionari da parte di Napoleone. Tra le composizioni più importanti di questo periodo c’è il Carme in morte di Carlo Imbonati, scritto per la scomparsa dell’uomo con cui la madre del poeta aveva convissuto dopo la separazione dal marito. Ritorna qui l’immagine del «giusto solitario», che fugge dal caos della contemporaneità per ritirarsi in solitudine e dedicarsi alla letteratura e alla virtù.

La conversione al cattolicesimo, influenzata forse dalla moglie Enrichetta Blondel, si consuma negli anni precedenti al suo ritorno a Milano, nel 1810. Il poeta non fornisce notizie sulle fasi che lo portarono a questa scelta. Da quel momento, tuttavia, Manzoni imbocca una nuova strada poetica: l’esaurirsi dei modelli neoclassici lo porta dapprima al silenzio e poi a cercare una nuova letteratura. L’abbraccio della religione cristiana coincide con l’avvicinamento al romanticismo diffuso all’epoca nella cultura europea.

La concezione della storia nel pensiero di Manzoni

Il cattolicesimo abbracciato da Manzoni è vicino ai temi del giansenismo, un movimento nato nel XVII secolo e fondato sulle tesi del teologo olandese Cornelius Otto Jansen. Secondo Jansen, l’uomo è segnato dal peccato originale e non è in grado di compiere il bene con le sue sole forze. La salvezza è possibile solo attraverso la Grazia, che Dio nel suo imperscrutabile giudizio dona soltanto a coloro che ha scelto, e che sono quindi predestinati, a prescindere dai meriti.

Da qui si comprende come, nel pensiero di Manzoni, sia centrale il tema della caduta e del peccato. Il male è radicato nel mondo, mentre l’uomo è debole e incline al peccato. Anche la sua concezione della storia, di conseguenza, cambia. Il mondo moderno non è diretto erede della cultura romana. La civiltà latina non era infatti un modello di virtù come creduto dai neoclassicisti. È invece il Medioevo a rappresentare un oggetto di interesse per il poeta: qui affonda le sue radici la civiltà moderna. Manzoni, con la civiltà classica, rinnega anche l’ideale aristocratico che celebra gli eroi. Al contrario, l’attenzione della sua letteratura si sposta sugli umili, dimenticati dalla storia ufficiale.

Il vero storico

Ma di cosa deve occuparsi la letteratura? Messi da parte i modelli neoclassici ormai esauriti, alla letteratura per Manzoni viene chiesto di avere «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo». È una letteratura che affronta temi che toccano sul vivo le coscienze, e che ha lo scopo di civile di parlare di ciò che è utile nel campo morale e civile.

Lo scrittore di conseguenza non deve inventare fatti, ma deve rifarsi alla storia, che è un repertorio inesauribile di episodi. Da qui è possibile ricavare tantissimi soggetti drammatici, a cui ci si deve attenere in modo rigoroso. È quindi centrale il tema del vero storico, a cui il poeta deve rifarsi. L’artista può ricorrere alla fantasia solo per ricostruire i sentimenti dei personaggi storici, senza però deformare la verità storica. I fatti storici sono alla base sia delle sue tragedie (Il conte di Carmagnola e l’Adelchi) sia del suo romanzo, I promessi sposi.

Nel caso delle tragedie, l’adesione al vero storico porta a precise scelte poetiche. Anzitutto c’è il rifiuto delle tre unità aristoteliche di tempo, spazio e azione, tipiche della produzione classicista. L’azione drammatica non può essere chiusa in spazi così stretti. Manzoni rigetta tutte le forzature artificiose imposte dalla letteratura dell’epoca, che indica con il nome di romanzesco. Solo liberandosi da queste restrizioni è possibile riprodurre il vero storico: solo un’opera ispirata al vero può avere effetti positivi, mentre le tragedie classiche inducevano gli spettatori a comportarsi secondo falsi principi morali.

La lirica

Anche nella lirica Manzoni introduce elementi di rottura con la tradizione classicista. Gli Inni sacri sono componimenti a tema religioso, dedicati ciascuno a una festività del calendario liturgico cattolico. Messi da parte i temi mitologici della classicità, Manzoni prende a modello gli inni dell’antica letteratura cristiana e recupera temi dalla religione cristiana popolare. La sua vuole essere una poesia popolare, vicina alle coscienze e alla sensibilità della maggioranza delle persone. Per questo motivo, invece dell’endecasillabo (tipico della poesia classicista), preferisce altre forme metriche, come i settenari, gli ottonari e i decasillabi.

Anche la poesia civile, rappresentata dalle Odi, prende le distanze dai valori classici cantati dai poeti della generazione precedente, come Foscolo e Monti. Manzoni affronta invece temi ripresi dalla contemporaneità, visti attraverso la sua prospettiva religiosa.

Il romanzo storico

L’interesse per il vero storico porta Manzoni a dedicarsi al romanzo storico, uno dei generi letterari di maggiore fortuna nel Romanticismo europeo. Negli anni venti del XIX secolo, i letterati neoclassicisti consideravano il romanzo un genere minore rispetto alla lirica. Il romanzo, scritto in prosa, rappresenta quindi un’innovazione per la nostra letteratura, poiché si rivolge a un pubblico più ampio rispetto alla poesia. Il linguaggio è più accessibile e la struttura consente di inserire riflessioni filosofiche, notizie storiche e considerazioni di vario tipo. In questo modo Manzoni coniuga letteratura e impegno politico.

La sua scelta gli consente di sperimentare nuove soluzioni. Utilizza uno stile elevato per descrivere le condizioni degli umili e sceglie come protagonisti due popolani, cioè due di quelle persone dimenticate dalla storia ufficiale. Le vicende sono inoltre descritte con realismo: pur essendo i portatori delle virtù più alte per l’autore, conservano la mentalità e la lingua tipici dei popolani. Attraverso le loro avventure Manzoni mette in luce il male e tutto ciò che di negativo c’è nella storia. Renzo in particolare lo sperimenta in ambito sociale e politico, mentre Lucia nel campo morale. Ma è proprio questa esperienza negativa e tragica a dare spessore ai personaggi. Ognuno di loro è intrinsecamente inserito nel contesto storico della storia, e senza di esso non è possibile comprenderne la psicologia. Anche questa è una differenza rispetto agli autori neoclassici, i cui personaggi rispondevano a modelli tipizzati.

Manzoni inoltre dedica grande cura a descrivere il contesto storico: la Lombardia del Seicento, sottoposta al dominio spagnolo. Consulta testi storiografici, opere letterarie, biografie, leggi e cronache dell’epoca allo scopo di ricostruire società, costume e condizioni di vita dell’epoca. La storia è però osservata dal basso. I personaggi storici fanno la loro comparsa solo quando incidono sulla vicenda vissuta dai personaggi.

La Provvidenza nel pensiero di Manzoni

Manzoni ha una visione provvidenziale della realtà. La volontà divina, che è imperscrutabile, può provocare dolore e ingiustizie ai giusti, senza che ne segua necessariamente una ricompensa. La Provvidenza in Manzoni non assicura infatti la felicità ai buoni. Piuttosto, ritiene che sia la sventura a far maturare più alte virtù e consapevolezza. Il tema può essere riassunto con il termine di «provvida sventura»: la sventura può colpire anche gli innocenti, mala “fiducia in Dio” consente di farne tesoro di queste esperienze negative in vista di “una vita migliore”. Solo nella vita eterna, infatti, i buoni conosceranno la felicità per la loro virtù.

L’ironia manzoniana

Lo stile manzoniano si caratterizza inoltre per l’ironia, di cui fa largo uso il narratore dei Promessi sposi. In genere l’isola segna un punto di vista distaccato rispetto a ciò di cui si parla. Nel romanzo, tuttavia, ricopre varie funzioni. C’è anzitutto autoironia, nei passaggi in cui il narratore sorride della propria attività di scrittore. Ne sono esempi le allusioni ai soli “venticinque lettori” che il romanzo avrebbe. C’è, dietro questa scelta, una presa di distanza dalla letteratura, che rischia sempre di diventare qualcosa di ozioso e inutile.

Ma Manzoni si rivolge con ironia anche ai suoi lettori, soprattutto quando dice di non volerli annoiare. In questo caso sorride dei gusti del pubblico, che dai romanzi si aspettava elementi “romanzeschi”: colpi di scena, avventure eccezionali, grandi emozioni. La narrazione per Manzoni, invece, non deve semplicemente intrattenere ma deve avere compiti più elevati.

Infine l’ironia si può rivolgere anche ai personaggi. In alcuni casi serve a segnare la distanza tra il colto narratore e i personaggi popolari, che hanno una mentalità diversa. Si tratta, in questo caso, di un atteggiamento bonario e paternalistico, che può scaturire da commenti diretti dell’autore oppure dal contrasto tra le parole dei personaggi e il contesto. Questo però non vale per tutti i personaggi. L’ironia nei confronti di don Abbondio è una condanna della sua pavidità e del suo egoismo. Verso Ferrer, invece, ricorre all’arma del sarcasmo.

La riflessione sulla lingua

Centrale nel pensiero di Manzoni è la riflessione sulla lingua, che attraversa tutta la sua produzione letteraria. In particolare, dopo il 1827 (anno della prima pubblicazione dei Promessi sposi) lo scrittore si distacca dalla letteratura, giudicata troppo lontana dalla verità. Si interessa piuttosto alla storia, alla filosofia e alla questione della lingua. Lavora comunque all’edizione definitiva del suo romanzo, che viene sottoposto a una revisione linguistica. Sceglie così una lingua basata sul fiorentino colto contemporaneo, che deve essere viva, agile, duttile e non retorica, priva dell'”ingessatura” prescritta dai puristi. In questo modo fornisce un modello per una lingua che possa essere usata nella società della futura Italia unita.

Alla sua riflessione sulla lingua Manzoni dedica diversi scritti. Tra questi è da ricordare la relazione che scrive nel 1866, dopo che Emilio Broglio, all’epoca ministro della Pubblica istruzione, lo aveva incaricato di presiedere la sezione milanese della commissione incaricata di diffondere la buona lingua. La proposta manzoniana è di ricorrere alla lingua fiorentina, che doveva essere diffusa nelle scuole attraverso maestri fiorentini e un vocabolario. Il ministero accolse le proposte, che furono anche al centro di un dibattito tra scrittori e linguisti.

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