Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

I promessi sposi sono l’opera più conosciuta e importante di Alessandro Manzoni, quella per la quale occupa un posto di primo piano nella storia del romanzo italiano.

Il romanzo storico e la novità de I promessi sposi

Dopo la convezione, Manzoni cercò nuove forme letterarie per esprimere la nuova sensibilità romantica. In questa prospettiva si può leggere la scelta di scrivere un romanzo, un genere che era stato tenuto ai margini dai letterati neoclassici. Ancora all’inizio dell’Ottocento, si riteneva che fosse infatti un tipo di letteratura inferiore rispetto alla lirica e al dramma. Per Manzoni, invece, il romanzo è uno strumento ideale per la sua ambizione di coniugare impegno e letteratura, perché consente di riprodurre la realtà senza artifici.

La scelta di Manzoni cade in particolare sul romanzo storico, un genere narrativo che in quegli anni stava godendo grande fortuna, di cui maestro indiscusso fu lo scozzese Walter Scott. Manzoni guarda a lui come a un modello, ma gli rimprovera al scarsa aderenza alla realtà storica e l’eccessivo ricorso al romanzesco. Lo scrittore milanese ambienta la sua opera nel Seicento e ricostruisce con attenzione il periodo storico, soprattutto per quanto riguarda la società, il costume e le condizioni di vita. I promessi sposi sono infatti il risultato di un lungo e scrupoloso studio condotto dall’autore, che consultò opere storiografiche, biografia, cronache e leggi dell’epoca.

Lo scrittore guarda alla storia dal punto di viste del popolo, di personaggi non nobili che non trovano posto nella storia ufficiale. Protagonisti del romanzo sono infatti due personaggi inventati, ma si muovono in un’ambientazione storica ricostruita con grande realismo. Inoltre, i personaggi non sono dei tipi stereotipati, come in molte opere della letteratura neoclassica, ma hanno una psicologia complessa. Tutto questo fa dei Promessi sposi uno dei primi romanzi realistici della letteratura italiana.

Dal Fermo e Lucia a I promessi sposi

Manzoni iniziò a lavorare al suo romanzo nel 1821 e lo completò nel 1840. La fase di stesura conobbe tre redazioni:

  1. la prima, intitolata dai critici Fermo e Lucia e scritta nel 1821-23, rimase inedita e apparve solo nel 1915 con il titolo Gli sposi promessi;
  2. la seconda redazione apparve nel 1827 con il titolo definitivo I promessi sposi;
  3. la terza redazione, la più celebre e quella tuttora letta nelle scuole, risale al 1840 e seguì un lungo lavoro di revisione linguistica.

Nella prima redazione Manzoni faceva largo uso di brani di taglio storiografico, relativi alla società, al costume, all’economia e agli eventi storici. Nella seconda redazione queste parti furono riassorbite nella parte narrativa. Anche le critiche sociali, presenti nel Fermo, sono più marcate rispetto alle versioni successive. Tra la seconda e la terza edizioni, invece, le differenze riguardano principalmente gli aspetti linguistici. Manzoni era nel frattempo giunto a un’idea di fiorentinità della lingua. Lavorò quindi a una revisione linguistica dell’opera, sostituendo alcuni termini e alcune costruzioni sintattiche.

Struttura del romanzo

Il romanzo, composto da 38 capitoli, è ambientato nella Lombardia del Seicento, tra il lago di Como, Milano e la Bergamasca, in un territorio controllato dagli spagnoli. Don Rodrigo, un signorotto locale, si è incapricciato di una giovane contadina, Lucia Mondella. Dopo avere scommesso con il cugino Attilio di riuscire a ottenerla, invia due bravi a minacciare il curato don Abbondio, per impedire la celebrazione del suo matrimonio con Renzo. Lucia chiede aiuto al suo confessore, fra Cristoforo, che cerca senza successo di farlo desistere don Rodrigo. Non solo: don Rodrigo e Attilio riescono a far spostare il frate in un convento a Rimini.

Renzo, Lucia e la madre Agnese progettano allora di celebrare un matrimonio clandestino, ma anche questo tentativo fallisce e la coppia è costretta a separarsi. Renzo fugge a Milano, mentre Lucia e la madre si nascondono in un convento a Monza, sotto la protezione della signora Gertrude, una suora. Don Rodrigo, pur di avere Lucia, ha infatti deciso di farla rapire. A Milano Renzo viene coinvolto nelle insurrezioni per il pane e arrestato in quanto sedizioso. Riuscito a fuggire, attraversa il fiume Adda e ripara nella Bergamasca, nascondendosi nella Repubblica di Venezia.

Nel frattempo, Lucia viene tradita da Gertrude che, succube dell’amante Egisto, lascia che venga rapita. La ragazza trascorre una notte nel castello dell’Innominato, un potente signore locale. Proprio quella notte, però, l’Innominato ha una crisi spirituale e, dopo l’incontro con il cardinal Borromeo, decide di liberare Lucia, che si trasferisce a Milano, ospite di donna Prassede e don Ferrante.

Alla carestia segue la peste del 1628-1629, durante la quale muoiono vari personaggi, tra cui anche don Rodrigo. Renzo, tornato a Milano, lo ritrova moribondo in un lazzaretto, ma ne ha compassione e lo perdona. Sempre nel lazzaretto incontra fra Cristoforo e l’amata Lucia. La coppia può così sposarsi e si trasferisce nella Bergamasca.

La Provvidenza

Altro tema centrale del romanzo è la Provvidenza divina, intesa in particolare come “provvida sventura”. Nella visione di Manzoni, la virtù e la felicità coincidono solo in una dimensione ultraterrena, in cui i buoni saranno premiati. Ma nella vita terrena la volontà di Dio, che è imperscrutabile, fa patire ingiustizie ai buoni, senza che venga a loro alcuna ricompensa. Da questo punto di vista si può comprendere il concetto della provvida sventura: il mondo è guidato da un ordine provvidenziale che, attraverso la sventura, fa maturare le virtù e la consapevolezza dei buoni.

Manzoni pone infatti al centro del racconto tutto ciò che è negativo nella storia, sia in ambito politico e sociale, sia in ambito morale. Da ciò, però, i diversi personaggi arrivano alla maturazione. Renzo, portatore dei valori positivi della classe popolare, ha inizialmente uno spirito ribelle, ma con l’esperienza abbandona l’idea che l’uomo debba farsi giustizia da sé e si affida alla volontà di Dio. Lucia, che invece ha una visione idealizzata della vita, scopre la presenza del male nella realtà e la sua funzione religiosa (cioè la provvida sventura). I personaggi però maturano anche una nuova consapevolezza di come opera la provvidenza e abbandonato le loro iniziali posizioni semplicistiche e ingenue.

L’ironia manzoniana

Tutto il romanzo è venato da una sottile ironia, che agisce a più livelli. Ci sono momenti di autoironia, in cui l’autore sorride di sé e della sua opera (si pensi ai richiami ai “venticinque lettori”). In questi passi Manzoni prende le distanze da una letteratura che pur mirando al vero rischia di rivelarsi un’attività inutile se paragonata alla storiografia o alla filosofia.

In altri passi, però, l’ironia è rivolta ai lettori. Un esempio si trova nelle ultime pagine del romanzo, quando il narratore preferisce evitare di raccontare la vita felice dei due protagonisti dopo il matrimonio, per non annoiare il lettore. Manzoni si rivolgeva infatti un pubblico abituato al romanzesco, che invece lo scrittore ripudiava.

C’è poi un’ironia rivolta ai personaggi. In alcuni casi segna la distanza tra il narratore e i personaggi che appartengono ai ceti umili e poco acculturati, verso i quali Manzoni ha comunque un atteggiamento paterno. Lo stesso Renzo, per esempio, viene mostrato come un bravo ragazzo, nonostante i suoi molti errori, mostrati sempre con tono bonario. Verso altri personaggi, però, l’ironia è tutt’altro che bonaria. Si pensi al modo in cui viene presentato don Abbondio, contrapposto alla sublimità di personaggi come l’Innominato e il cardinal Borromeo. Un’ironia che diventa impietosa quando si rivolge ai potenti, come per esempio il governatore spagnolo Ferrer.

Lingua e stile

Come ricordato all’inizio, il romanzo consente varie libertà rispetto alle regole della tradizione, come per esempio quella di usare uno stile nobile ed elevato per parlare degli umili. Ed essendo scritto in prosa, usa un linguaggio più accessibile rispetto alla poesia, poteva rivolgersi a un pubblico più ampio.

I protagonisti del romanzo, Renzo e Lucia, pur descritti come spiriti nobili e portatori di virtù morali, sono comunque dei popolani. In quanto tali conservano la lingua e la mentalità tipici dei ceti popolari.

Lo stile della narrazione è invece piano, ha un andamento bonario verso l’uditorio, e spesso il narratore interviene dando giudizi sugli eventi. Il narratore è infatti esterno e onnisciente, ma non mancano i passaggi in cui la focalizzazione è interna.

Sul web:

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