Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio 2023

Alla ricerca di nuove forme letterarie, Manzoni compone tragedie lontane dalla tradizione neoclassica, ispirate al principio del vero storico. Rifiuta le unità aristoteliche (tempo, spazio, azione) e situa i personaggi in un’epoca storica ben precisa.

Manzoni, le tragedie classiche e il vero storico

Il rifiuto delle unità aristoteliche

Il riferimento al vero storico è la principale caratteristica delle tragedie manzoniane, ciò che le differenzia dalle tragedie di stile neoclassico. Queste ultime collocavano l’azione fuori dal tempo, in un mondo assoluto, indipendentemente dal fatto che i protagonisti fossero personaggi storici o inventati. Veniva inoltre richiesta una stretta osservanza delle tre unità aristoteliche di tempo, spazio e azione. Manzoni si distacca da tutto questo.

In un saggio in francese intitolato Lettre à M. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie (1822), Manzoni risponde a Joseph-Joachim Chauvet, che lo criticava per l’abbandono delle unità aristoteliche. Il fine del teatro, nella sua poetica, è spiegare quali sentimenti hanno provato i personaggi storici in corrispondenza a un determinato evento. La storia, da questo punto di vista, diventa la più ricca fonte di ispirazione per i drammi. Il può non deve inventare i fatti, ma deve attenersi al fatto storico così come è avvenuto. L’unico spazio lasciato all’invenzione riguarda però proprio i sentimenti, che il poeta (differenziandosi in questo dallo storico) è chiamato a indagare e ricostruire.

Il culto del vero, d’altra parte, impediva di accettare le unità aristoteliche, che peraltro erano frutto di una lettura di tipo precettistico della Poetica. Nella realtà l’azione non è mai racchiusa entro limiti spaziali e temporali così stretti (le tragedie classiche dovevano compiersi nell’arco di un giorno e l’azione doveva avvenire in un unico luogo). Per rispettare simili regole, secondo Manzoni, si finisce per forzare il carattere dei personaggi, rendendoli artificiosi e “romanzeschi”.

Manzoni, tragedie e romanticismo

Ma da dove proviene questa particolare poetica del vero storico? Molto probabilmente Manzoni deve l’ispirazione ai drammi storici di Shakespeare. Il bardo era ben poco amato dai classicisti, e la sua riscoperta e rivalutazione si deve proprio ai romantici. La tragedia era d’altra parte uno dei principali interessi dei letterati e degli autori dei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento. Anche Goethe e Shiller, ispirandosi a Shakespeare, scrissero dei drammi storici, mentre August von Schlegel tenne un celebre Corso di letteratura drammatica (1809).

L’intento morale delle tragedie manzoniane

Ma c’è un’altra critica che viene mossa alla tragedia classica: quella di ispirare gli individui a compiere le azioni false viste sulla scena. Come in altre opere composte dopo la conversione, anche nelle tragedie il poeta guarda sempre al rigore morale. Le sue opere devono avere sempre un effetto positivo sulle coscienze degli spettatori.

La funzione del coro

Particolarmente significativi sono i cori, che però hanno una funzione diversa rispetto alle tragedie classiche. Se nel teatro greco il coro era portavoce della collettività e dei suoi valori, nella tragedia manzoniana riporta la voce dell’autore. Il poeta interviene quindi direttamente e in forma lirica negli eventi del dramma, esprimendo il suo punto di vista.

Le tragedie di Manzoni

Il conte di Carmagnola

La prima tragedia scritta da Manzoni è Il conte di Carmagnola (composta tra il 1816 e il 1820). Francesco Bussone (1380-1432), conte di Carmagnola, fu un celebre capitano di ventura, che combatté campagne prima per i Visconti Milano e poi per Venezia. Infine, nella battaglia di Maclodio del 1427, guidò alla vittoria l’esercito anti-visconteo. Manzoni si sofferma però su un aspetto: la condanna a morte del conte con l’accusa di tradimento. Oggi sappiamo che le prove contro Bussone fossero particolarmente forti, ma il poeta propende invece per la sua innocenza.

Manzoni lo descrive quindi come un personaggio di animo nobile, e ne fa un simbolo della lotta di uno spirito elevato contro la ragioni di stato. La storia, secondo un tema tipico della poetica manzoniana, è infatti attraversata dal male, contro la quale si oppongono pochi spiriti puri, destinati al fallimento.

Il poeta qui utilizza per la prima volta il coro, inteso però come uno spazio riservato all’autore per esprimere un proprio giudizio. In questo caso esprime delle critiche sulla situazione politica italiana nel XV secolo e sulle lotte intestine che si consumavano. Tuttavia lo sguardo è sempre all’età contemporanea: parlando del passato si ha l’occasione per riflettere sul presente e sul Risorgimento. Da questo punto di vista, il coro è avvicinabile all’ode Marzo 1821.

Adelchi

Manzoni raggiunge i più alti risultati nel dramma storico con l’Adelchi (1822). Ambientata nell’Italia dell’alto Medioevo, l’opera narra la caduta dell’impero longobardo a causa dell’espansione dei franchi. Ma l’attenzione di Manzoni si concentra soprattutto sui latini, che in seguito a questi eventi passarono da un dominatore all’altro. Il poeta infatti compì rigorosi studi storici sull’Italia dell’VIII secolo, che furono raccolti nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822).

L’azione è segnata dallo scontro tra il re longobardo Desiderio e il re franco Carlo Magno, che mirano entrambi al potere agendo in nome della ragion di stato. A loro vengono contrapposti, secondo una schema già visto nel Conte di Carmagnola, due personaggi puri destinati all’insuccesso: i figli di Desiderio, Adelchi e Ermengarda.

Nell’Adelchi inoltre sono presenti due cori. Il primo affronta il già ricordato tema della storia dei latini. Ancora una volta, la ricostruzione del passato è un’occasione per parlare e riflettere sul presente e sulle rivendicazioni risorgimentali. Nella lettura manzoniana, i latini sono l’emblema delle masse che vengono ignorate dalla storia ufficiale e la loro storia è un monito per gli italiani, che non devono affidare la loro libertà all’intervento di potenze straniere.

Il secondo, celeberrimo coro narra invece la morte di Ermengarda. Figlia di Desiderio, la donna era stata data in sposa a Carlo Magno, in nome della ragion di stato, come segno dell’alleanza tra franchi e longobardi. Il suo ripudio da parte del marito è una delle cause dello scontro tra i due sovrani. Il coro ricostruisce i tormenti della donna, che nonostante tutto è ancora innamorata del marito. I suoi tentativi di sopprimere la passione amorosa non hanno successo, e alla fine Ermengarda trova la sua liberazione nell’eternità.

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