Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio 2023

Nell’Ottocento il melodramma italiano rappresentò una delle più alte espressioni del romanticismo. Le opere di autori come Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi fecero conoscere la cultura romantica italiana in Europa.

Il teatro italiano del XIX secolo

Il teatro italiano all’inizio dell’Ottocento non produsse opere particolarmente rilevanti. Nella tragedia continuavano a prevalere il modello alfieriano e le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. Con il romanticismo si diffuse anche il modello shakespeariano, così come la tragedia di impianto storico. Quest’ultima era legata alla lotta risorgimentale e rispecchiava gli ideali della nuova generazione degli intellettuali, il loro gusto per il passato e il senso cristianamente tragico della storia. Tra gli esempi più importanti ci sono le tragedie di Manzoni, scritte però più per la lettura che per la messa in scena. Altre opere da ricordare sono la Francesca da Rimini (1914) di Silvio Pellico e i drammi di Giovan Battista Niccolini (1782-1861). Abbastanza trascurata era invece la commedia, genere che ha tra i principali autori Alberto Nota (1775-1847).

In generale, le compagnie di giro dell’epoca prediligevano le opere settecentesche, mentre rare erano le rappresentazioni di drammi contemporanei. Gli autori italiani più apprezzati erano Goldoni e Alfieri, mentre tra quelli europei si affermava sempre di più Shakespeare. In generale, era l’attore che, con il suo talento e il suo carisma, diventava il centro della vita teatrale, imponendosi sul pubblico e conquistandone i favori.

Il melodramma italiano tra Settecento e Ottocento

Il Settecento aveva visto il trionfo del melodramma e l’affermazione del modello di Metastasio. Alla fine del secolo, tuttavia, questo modello era già superato e autori come Lorenzo Da Ponte tentavano nuove strade e nuove soluzioni sceniche. Durante l’Ottocento, il melodramma diventò il principale genere del teatro romantico italiano. Tuttavia, i libretti di questo periodo non ebbero la forza poetica dei loro predecessori settecenteschi. La diffusione del melodramma, d’altra parte, ebbe una serie di conseguenze. Per essere portati in scena, per esempio, i melodrammi avevano bisogno di un’organizzazione più complessa, con diversi centri di diffusione sparsi sulla penisola e poi nel resto d’Europa. La rappresentazione delle stesse opere in varie città portò inoltre a un’omogeneità dei gusti del pubblico.

Mentre nel teatro lirico neoclassico di fine Settecento l’azione si basava su situazioni intense, conflitti e intrecci, nel melodramma italiano dell’Ottocento era la voce dei cantanti a dar vita alla scena, attraverso contrasti, sovrapposizioni, incontri. Di conseguenza, il libretto diventò subordinato alla musica, ma lo spettatore partecipava intensamente ed emotivamente all’opera che stava guardando. Con il melodramma inoltre si diffusero tra il pubblico italiano i temi che avevano caratterizzato la cultura letteraria alta.

Il melodramma italiano dell’Ottocento: librettisti e compositori

Protagonisti indiscussi del melodramma romantico italiano furono i compositori. All’inizio del XIX secolo era ancora centrale il genere comico, che aveva tra i suoi autori Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello. Fu con Nicola Zingarelli e Simone Mayr che il comico perse di importanza in favore del dramma. La prima metà dell’Ottocento fu dominata da compositori di fama internazionale, come Gioacchino Rossini (1792-1868), Vincenzo Bellini (1801-1835) e Gaetano Donizetti (1797-1848). Nella seconda metà del secolo, a dominare fu la figura di Giuseppe Verdi (1813-1901), che diventò ben presto un vero e proprio simbolo del risorgimento, cantore delle lotte per l’unità italiana.

Meno famosi furono invece i librettisti, tra cui si ricordano quelli di Rossini: Angelo Anelli (1761-1820), per L’italiana in Algeri (1813) e Cesare Sterbini (1784-1831) per Il barbiere di Siviglia (1816). Felice Romani (1788-1865), poeta e critico letterario, occupò in ruolo di primo piano, condensando in brevi libretti forme drammatiche particolarmente complesse. Lavorò per Bellini (Il pirata, 1827; La sonnambula e Norma, 1931) e per Donizetti (L’elisir d’amore, 1832). Giovanni Ruffini scrisse poi Don Pasquale (1843), mentre a Salvadore Cammarano si deve Lucia di Lammermoor (1835), entrambi musicati da Donizzetti. Tra i librettisti di Verdi si devono ricordare Temistocle Solera (Nabucco, 1842), Francesco Maria Piave (Rigoletto, 1851; La traviata, 1853; La forza del destino, 1862) e Antonio Gislanzoni (Aida, 1871). Negli ultimi anni fu affiancato, in qualità di librettista, da Arrigo Boito, tra i protagonisti della scapigliatura.

Sul web

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