Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Durante il Settecento il melodramma italiano porta la lingua e la cultura italiana nei teatri d’Europa. Grazie a librettisti come Apostolo Zeno e Pietro Metastasio, il melodramma abbandona gli orpelli dell’epoca barocca e si semplifica secondo uno schema razionale. Presto il genere, assurto al rango di tragedia musicale, riesce a esprimere al meglio i valori e gli ideali del teatro francese all’epoca di Luigi XIV.

La diffusione del melodramma italiano durante l’Arcadia

Il melodramma italiano nacque a Firenze nella seconda metà del Cinquecento, ma conobbe particolare fortuna durante il XVIII secolo, grazie in particolare ai letterati dell’Accademia dell’Arcadia. Autori come Pier Jacopo Martello, Ludovico Antonio Muratori e Benedetto Marcello criticarono aspramente il melodramma barocco, con i suoi orpelli e virtuosismi esagerati. Avendo come obiettivo la riforma della poesia italiana, tentarono quindi di mettere ordine a questo genere, cercando di stabilire equilibrio e misura nelle opere, eliminando tutti gli eccessi inutili. Ciò avvenne grazie in particolare a due librettisti: Apostolo Zeno e Pietro Metastasio.

L’organizzazione del teatro musicale

Scrivere un libretto non era un’impresa semplice: il lavoro richiedeva di tenere conto non solo di questioni estetiche e letterarie, ma anche di varie questioni organizzative. A seconda della compagnia teatrale e del capitale a disposizione potevano cambiare il numero dei personaggi, le battute e anche la durata della composizione. Talvolta i poeti dovevano scrivere o modificare il libretto su misura degli attori e delle loro capacità interpretative. Altre volte, però, era la carenza di denaro che costringeva a tagli e revisioni radicali.

Anche la stagione aveva un peso. Durante l’inverno, per esempio, non era raro che il pubblico si ripassare nel teatro per sfuggire al freddo. In questo periodo dell’anno, quindi, venivano messi in scena lavori più lunghi, in modo da venire incontro alle esigenze del pubblico. Viceversa, quando in estate il clima era particolarmente afoso, gli spettacoli erano più brevi (e a volte venivano persino accorciati).

I librettisti

Apostolo Zeno

Anzitutto, tra i maggiori librettisti italiani del Settecento vi fu Apostolo Zeno (Venezia 1668 – 1750), poeta arcadico con il nome di Emaro Simboli. Iniziò a comporre libretti nel 1695, ricoprendo il prestigioso incarico di poeta cesareo alla corte di Vienna dal 1718 al 1729. Nella sua carriera lavorò con molti dei più famosi compositori dell’epoca, come Alessandro Scarlatti, Tommaso Albinoni, Händel, Hasse, Vivaldi, Galuppi, Paisiello e Cherubini.

Nei suoi libretti Apostolo Zeno riprende temi dalla storia antica, principalmente greca e romana. Alcuni però hanno anche ambientazioni più esotiche, come la Persia, la Cina, la Mesopotamia, e non disdegna neanche i regni romano-barbarici. I melodrammi composti sui suoi testi ebbero discreta fortuna anche negli anni successivi alla sua morte. Saverio Mercadante, per esempio, portò in scena a Torino la Nitocri nel 1824, 74 anni dopo la morte del poeta.

Metastasio e la riforma del melodramma italiano

Ancora più importante è però l’opera di Pietro Metastasio (Roma 1698 – Vienna 1782), poeta arcadico con il nome di Artinio Corasio. Nel 1729 successe ad Apostolo Zeno come poeta cesareo alla corte di Vienna e attuò una vera e propria riforma del melodramma italiano. L’opera seria settecentesca è composta principalmente da una successione di arie e di recitativi, a cui si aggiungono alcuni cori. Su questa base, Metastasio crea un modello basato da due coppie di giovani (ciascuna composta da soprani e castrati), un padre o un sovrano (tenore) e un coro di voci maschili. Il recitativo è molto semplice mentre le arie seguono una forma bistrofica.

Il modello metastasiano di diffuse rapidamente nelle corti europee e resistette per lungo dopo. Sopravvisse anche a vari tentativi di riforma successivi, come quello tentato dal compositore Christoph Willibald Gluck e dal librettista Ranieri Calzabigi con l’opera Orfeo ed Euridice (1762), che avevano proposto una partita più articolate e una riduzione a soli tre personaggi.

Gli altri librettisti

Metastasio e Apostolo Zeno non furono i soli autori di libretti per il melodramma italiano del Settecento. Oltre al già citato Calzabigi, autore di libretti per Gluck, si possono ricordare Paolo Rolli, Giovanni Battista Casti e soprattutto Lorenzo da Ponte, che compose i libretti delle opere italiane di Mozart. Anche Carlo Goldoni lavorò e si fece apprezzare come librettista, componendo sia opere serie sia opere comiche. Da ricordare anche è anche Giovanni Battista Lorenzi, il maggiore compositore di libretti per opere buffe, un sottogenere nato nel Settecento che avrà fortuna anche nell’Ottocento.

L’opera comica

Un discorso a parte merita l’opera comica. Alla fine del Settecento le parti comiche iniziarono a essere espunte dai melodrammi. Privi ormai di una funzione narrativa, si spostarono alla fine degli atti come intermezzi. La prima opera comica vera e propria risale però al 1733, quando viene messa in scena la Serva Padrona, scritta da Gennaro Antonio Federico e musicata da Giovanni Battista Pergolesi. Il successo dell’opera fu immediato e fu rappresentata in tutta Europa, osteggiata dalle autorità ma apprezzata dagli intellettuali illuministi.

Contemporaneamente, a Napoli nacque la commedeia per mmuseca, un genere di teatro comico musicale in dialetto napoletano. Rispetto all’intermezzo aveva più personaggi e una maggiore complessità. La prima di queste opere, La Cilla, scritta da Col’Antuono Feralintisco e musicata da Michel’Agnolo Faggioli, fu rappresentata nel 1707. Il genere conobbe un certo successo, e molte commedie furono riproposte nel Nord Italia, e in particolare a Venezia.

A Goldoni si deve invece la codificazione del «dramma giocoso», il cui primo esempio è La scuola moderna (1748). In seguito, Goldoni firmò anche altre opere comiche di successo e dei libretti con il nome arcadico di Polisseno Fegejo.

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