Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio 2023

Quello della maschera è uno dei temi centrali affrontati da Pirandello nelle commedie e nelle altre sue opere teatrali, tutte raccolte dallo stesso autore in Maschere nude.

Le prime commedie di Pirandello

Pirandello iniziò a interessarsi al teatro fin dalla prima giovinezza. Il suo primo dramma, un atto unico intitolato Perché, vide le stampe nel 1892. Stava però già lavorando ad altre opere, in particolare L’epilogo e Il nibbio. Tuttavia, fu solo quasi vent’anni più tardi, che un’opera pirandelliana venne portata a teatro. Si trattò per l’esattezza di due atti unici, La morsa e Lumìe di Sicilia, che furono rappresentate a Roma nel 1910 dalla compagnia di Nino Martoglio. Nel 1913 mise in scena Il dovere del medico (scritto nel 1911), ma la fama arrivò nel 1915, quando una rielaborazione del Nibbio, intitolata Se non così…, venne rappresentato a Milano. Visti i buoni riscontri, Pirandello da quel momento si dedicò sempre più al teatro, tralasciando invece la narrativa.

Le innovazioni nelle commedie di Pirandello

Nelle commedie di Pirandello ritroviamo i temi e l’ironia dissacrante che avevano caratterizzato fino ad allora la sua narrativa. Era, questa, un’innovazione per il teatro borghese del primo Novecento. I drammi scritti tra il 1916 e il 1920 giocavano sui meccanismi scenici tipici del teatro e sul rapporto tra realtà e apparenza. Fin dai primi lavori, uno dei temi centrali nel teatro di Pirandello sono le maschere. Lo scrittore approfondisce la psicologia dei personaggi, che non è mai unitaria, ma scomposta in varie forme, contrapposte e paradossali. La vita è segnata dalla finzione e il teatro si presta bene a esserne una rappresentazione. Le diverse maschere si scontrano tra di loro, dando origine a dispute dialettiche che diventano occasione per scavare con sottigliezza nei rapporti.

Pirandello mescola tragico e comico, seguendo la strada del teatro del grottesco che caratterizza anche altri autori dell’epoca. I personaggi sono per lo più piccolo-borghesi, di cui viene rappresentata con realismo la vita quotidiana. Quella che però alla fine viene affermata è la completa insensatezza della vita, che si basa sullo scontro tra maschere. Centrale è poi il tema della famiglia e delle complicazioni a essa collegate, che spesso viene trattato a partire dallo schema del triangolo, da cui poi vengono sviluppate nuove relazioni paradossali. All’interno dei rapporti familiari si sviluppa il contrasto tra i personaggi, i quali sono divisi tra i propri sentimenti da una parte e il proprio ruolo nella famiglia e nella società.

Rientrano in questa opere come Pensaci Giacomino! (1916), Così è (se vi pare) (1917), Il piacere dell’onestà (1917), Ma non è una cosa seria (1918), L’uomo, la bestia e la virtù (1919) e soprattutto Il giuoco delle parti (1918). Negli stessi anni Pirandello scrisse anche opere in dialetto siciliano, come A birritta cu ‘i ciancianeddi, La patente, ‘A giarra.

Sei personaggi in cerca di autore

La riflessione sulle possibilità sceniche viene portata alle sue estreme conseguenze con Sei personaggi in cerca d’autore, scritto tra il 1919 e il 1920, e rappresentato nel 1921. Si tratta di un esempio di “teatro nel teatro”, in cui cioè si porta sulla scena i meccanismi tipici del teatro, nonché una delle più famose commedie di Pirandello. Nell’opera, una compagnia di attori sta provando in vista di una rappresentazione Il giuoco delle parti. Compare però sulla scena un gruppo di fantasmi: sono sei personaggi creati ma poi abbandonati da un autore teatrale. Si fanno quindi avanti con il capocomico per reclamare che la storia di cui sono stati protagonisti venga infine rappresentata. La compagnia accetta dopo varie insistenze, ma i racconti dei fantasmi non fanno altro che ripetere all’infinito le vicende, provocando sensazione che vanno dallo strazio alla vergogna all’angoscia.

In Sei personaggi in cerca d’autore si contrappongono da un lato la finzione del teatro, con le sue forme vuote, dall’altro la vita dei personaggi, che rivivono le loro angosce per ciò che è successo. Il loro ingresso sulla scena segna l’irruzione della vita, che distrugge lo spazio teatrale e lascia gli attori straniati. Indicativo è anche il fatto che i sei personaggi insistano sulla sincerità della loro vicenda: temono che, una volta portata sulla scena, essa debba sottostare alle leggi del teatro e della finzione. Pirandello proseguirà sulla vita del teatro nel teatro con i drammi Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930), che con Sei personaggi in cerca di autore formano una trilogia.

Pirandello, le maschere e le opere dell’ultima fase

Dopo la sperimentazione del teatro nel teatro, Pirandello si orienta verso forme più stabili e nelle opere successive porta in scena personaggi tragici e tormentati. Divenne anche più forte la ricerca di un verità profonda dietro la maschera. Si verifica anche un cambiamento per quanto riguarda l’ambientazione: abbandonata la piccola borghesia, l’attenzione si sposta sull’alta borghesia. Pirandello rientra ora, a pieno titolo, nel novero degli autori della tragedia borghese.

Enrico IV, del 1922, è forse l’opera più rappresentativa di questa fase. Caduto da cavallo durante una ricostruzione storica, il protagonista è convinto di essere l’imperatore Enrico IV e di vivere nel Medioevo. Si scontra però con i suoi amici e parenti, che riportano a galla tutta la meschinità della sua vita precedente alla caduta. Infine, rivela di essere rinsavito da anni, ma di avere deciso consapevolmente di continuare a vivere nei panni di Enrico IV per sfuggire alla volgarità borghese nascondendosi nella follia.

Maschere, tragedia e mito

Dopo questa fase, prosegue la riflessione di Pirandello sulle maschere. Lo scrittore continua a interrogarsi sul tema della vita autentica, contrapposta alle convenzioni sociali. Tuttavia lo fa con opere lontane dall’originalità dei drammi precedenti, in cui non fa altro che ripetere forme già usate (per questo motivo si parla di pirandellismo). Tra le ultime opere si possono citare La vita che ti diedi (1923), Diana e la Tuda (1926), L’amica delle mogli (1926) e Trovarsi (1932).

Allo stesso tempo, però, cerca anche nuove forme mitiche, in grado di alterare i rapporti con la realtà. La sua ricerca si sposta quindi nei campi della leggenda e del meraviglioso. Questo nuovo teatro è ricco di complicazioni, con le quali l’autore vorrebbe trasmettere una piena coscienza del presente. Pirandello abbandona così commedie e tragedie e, nell’ultima fase della sua vita, inizia a scrivere miti. Dopo la La nuova colonia (1928) e Lazzaro (1929), scrive quella che sarà la sua ultima opera, I giganti della montagna. Pirandello vi lavorò per tutto il 1930, ma l’opera rimase incompiuta. Attraverso una complessa struttura mitica, che riprende immagini dalle tradizioni arcaiche dai forti significati allegorici, lo scrittore porta avanti una riflessione sul presente.

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