Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Il romanzo italiano alla fine dell’Ottocento conosce importanti trasformazioni. La prima metà del secolo era stata segnata dal modello manzoniano (la prima edizione dei Promessi sposi risale al 1827). Manzoni rimase un riferimento fino al 1879-80, quando il verismo e il decadentismo introdussero importanti novità nel romanzo italiano. Nel mezzo tra questi due poli ci furono varie sperimentazioni, tra cui Le confessioni d’un italiano (1867) di Nievo, il più importante romanzo della fase post-manzoniana.

Alle origini del romanzo italiano dell’Ottocento: Manzoni e il romanzo storico

L’ascesa del romanzo storico

Il romanzo è per antonomasia il genere letterario della modernità e si sviluppò seguendo l’affermazione della borghesia. In Italia questo processo fu però più lento a causa di una tradizione letteraria che considerava il romanzo come un genere secondario rispetto alla poesia. Le cose però cambiarono con il Romanticismo e la nascita di un pubblico più vasto a cui i letterati si rivolgevano per diffondere gli ideali risorgimentali. Si trattava di un pubblico non aristocratico e non cosmopolita, ma nazionale, a cui non ci si poteva rivolgere usando un linguaggio aulico. La prosa narrativa, e non la poesia, era quindi lo strumento più adeguato.

In questo contesto, Manzoni rappresentò un punto di riferimento. Messa da parte la figura del poeta Vate incarnata da Foscolo, al letterato si chiedeva di essere un educatore. Il genere narrativo che meglio rispondeva alle nuove esigenze era il romanzo storico, in cui avvenimenti reali (quindi veri) della storia nazionale si fondono con vicende fantastiche. Iniziatore del genere fu lo scozzese Walter Scott, il cui capolavoro, Ivanhoe, fu tradotto in italiano nel 1822. Questo diede il via a un serie di emulatori. I romanzi storici italiani si proponevano di spiegare, rievocando episodi del passato, le cause della situazione italiana. Tra i molti autori, i principali furono Tommaso Grossi, Massimo d’Azeglio, Francesco Domenico Guerrazzi e Niccolò Tommaseo.

Il modello manzoniano, Ippolito Nievo e Giuseppe Rovani

Su tutti però spiccava la figura di Alessandro Manzoni: i suoi Promessi sposi superano gli altri per ricercatezza formale, linguistica e strutturale. Lo scrittore milanese fa uso di registri e toni molto diversi a seconda delle esigenze narrative, dimostra una minuziosa capacità descrittiva ed è in grado di mantenere l’unità all’interno di un romanzo estremamente complesso. Il narratore manzoniano guarda la storia dall’alto e non lesina commenti su quello che accade, rivolgendosi direttamente al lettore. I promessi sposi divenne un modello non solo letterario ma anche educativo, con la sua morale cattolica ma non retriva.

Un ambizioso tentativo di superare il modello manzoniano fu portato avanti da Ippolito Nievo con le Confessioni di un italiano. L’autore cercò di fondere il suo patriottismo, la sua passione e il suo erotismo in un’opera di ampio respiro che fosse anche popolare. Purtroppo le Confessioni sono un romanzo incompiuto. Il risultato è infatti un romanzo di formazione che, rifiutando il modello manzoniano, risente dell’influenza della letteratura settecentesca, e in particolare di Foscolo e Alfieri.

Un altro tentativo di superare il modello manzoniano sono i Cento anni (1859-1861) di Giuseppe Rovani. Patriota e ribelle, per certi versi anticipatore della scapigliatura, Rovani fu giornalista e condusse una vita disordinata e segnata dalla povertà. Nel suo romanzo, ambientato a Milano nell’arco di un secolo, mescolò parti narrative con pezzi di giornalismo, elementi storici con fatti di cronaca. I Cento anni presentano quindi uno stile non omogeneo e, più che un’opera unitaria, sono piuttosto formati da alcuni nuclei narrativi legati tra di loro.

Il romanzo post-manzoniano

L’evoluzione del romanzo conosce un’accelerazione negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia. Giunsero dall’Europa nuovi modelli e i principali punti di riferimento furono gli autori del naturalismo francese come Flaubert, Zola, Balzac. Accanto a questi, gli scrittori italiani risentirono anche dell’influenza di Paul Bourget, inventore del romanzo psicologico, di Charles Dickens e dei maestri russi (Tolstoj, Dostoevskij). Cresce quindi l’esigenza di superare la narrativa manzoniana e di accogliere elementi provenienti dalla coeva narrativa realista e decadente.

Le sperimentazioni più importanti di questo periodo si devono agli autori della scapigliatura (Rovani, Arrighi, Tarchetti, Praga e altri). Per questo movimento si parla spesso di “avanguardia mancata”. Gli scapigliati da un lato si rivelarono infatti degli innovatori per il loro tentativo di introdurre in Italia temi provenienti dalla coeva letteratura europea. Nelle loro opere possiamo trovare per esempio temi come il gusto per l’orrido e il mistero, temi in precedenza poco considerati dai romantici italiani. Furono inoltre tra i primi a cercare di introdurre nella penisola una letteratura realistica secondo il modello naturalista francese (esemplare il caso di Cletto Arrighi scrisse una Nanà a Milano) e anticiparono alcuni temi che sarebbero stati propri del decadentismo. Dall’altro lato, però, i risultati furono deludenti rispetto alle aspettative e la scapigliatura fallì nel suo tentativo di rinnovare la letteratura italiana.

L’età del realismo e del verismo

Gli anni ottanta segnarono il trionfo del romanzo nella letteratura italiana. Negli ultimi vent’anni del secolo videro la luce vari capolavori, che a volte comparvero a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. La corrente egemonica di questo periodo fu senza dubbio il verismo teorizzato da Verga e Capuana, che si rifaceva alla poetica del naturalismo francese. Questo introdusse nella narrativa molte innovazioni rispetto al modello manzoniano, tra cui:

  • l’abbandono del narratore onnisciente in favore di un narratore impersonale,
  • la focalizzazione interna (la storia è narrata dal punto di vista dei personaggi),
  • la regressione del narratore al livello dei suoi personaggi,
  • la narrazione comportamentista (ci si limita a riportare le azioni dei personaggi, senza ulteriori indagini),
  • la ricerca di nuovi strumenti linguistici.

I più significativi esempi di romanzo verista sono I Malavoglia (1883) e il Mastro-don Gesualdo (1889) di Verga, che raccontano la vita nelle campagne siciliane. A differenza dei naturalisti, che ambientavano le loro opere nelle classi più disagiate delle aree industrializzate, i veristi si soffermano invece su aree agricole e pastorali, giudicate primitive e guidate da leggi immodificabili.

La poetica verista influenzò molti altri autori del periodo, che scrissero opere di narrativa realista. Quello che caratterizza queste opere è il regionalismo: ogni autore racconta infatti le condizioni delle classi più disagiate nelle proprie regioni di provenienza. E così, per esempio, Matilde Serao e Salvatore Di Giacomo parlano delle difficili condizioni delle classi povere napoletane, mentre Grazia Deledda ambienta i suoi romanzi nella natia Sardegna, vista come terra primitiva.

Il decadentismo e il romanzo italiano di fine Ottocento

Negli anni novanta il romanzo verista entrò in crisi, mentre allo stesso tempo si affermò anche in Italia il decadentismo. Nel 1889, lo stesso anno del Mastro-don Gesualdo, uscì Il piacere di D’Annunzio che diffuse la poetica dell’estetismo. Si diffuse inoltre anche in Italia il romanzo psicologico, che si concentra principalmente sulla psicologica dei personaggi. Tra i più importanti romanzieri di questo periodo ci fu Antonio Fogazzaro, che con la sua prosa evocativa tentava di indagare i turbamenti e recessi dell’animo dei suoi personaggi.

In generale, l’ultimo decennio del secolo vide l’uscita di romanzi tra di loro molto diversi, a volte nello stesso anno. Nel 1892 uscirono Arabella di De Marchi e Una vita di Svevo, nel 1894 Il trionfo della morte di D’Annunzio e I vicerè di De Roberto, nel 1895 Piccolo mondo antico di Fogazzaro e Le vergini delle rocce di D’Annunzio, nel 1898 Senilità di Italo Svevo. Una varietà che conferma come il romanzo italiano di fine Ottocento fosse un genere particolarmente vivo.

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