Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Nelle opere di Giovanni Verga il pensiero e la poetica alla base del verismo trovano la loro applicazione più coerente e rigorosa.

Verga, il pensiero e l’approdo al verismo

Il 1874 è l’anno della pubblicazione di Nedda. Bozzetto siciliano. Si trattava di una novella molto diversa dalle opere precedenti, ispirate a un patriottismo e a un sentimentalismo tardo-romantico. L’ambientazione non è più il mondo dell’alta società milanese o fiorentina. La vicenda narrata ruota invece attorno a un umile paese siciliano, una scelta che anticipa il passaggio al verismo. La vera svolta nella poetica e nel pensiero di Verga avviene però alcuni anni più tardi con un’altra novella, Rosso Malpelo, del 1878. È la storia di un giovane minatore e della sua dura vita, raccontata con uno stile lucido e scabro.

Non è chiaro come sia avvenuta questo, passaggio che molti critici definiscono come una “conversione” al verismo. Molto probabilmente lo scrittore ha subito l’influenza del naturalismo francese, e in particolare dell’Assomoir di Zola. Tuttavia, nella sua opera approdò a soluzioni e risultati lontani dalla letteratura francese.

Bisogna inoltre ricordare che già nelle opere precedenti Verga si era proposto di raccontare il “vero”, usando la tecnica dell’impersonalità e rifacendosi a una concezione materialistica della realtà. Con le due novelle del 1874 e del 1878 affinò le proprie tecniche, cercando di raccontare tutte le classi della sociale, a cominciare dalle più umili per arrivare a all’aristocrazia e all’alta borghesia. Su questa strada Verga proseguì con le novelle raccolte in Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883), e con i romanzi del ciclo dei vinti.

Il pessimismo nel pensiero di Verga

Alla base del pensiero di Verga c’è una concezione pessimistica della realtà, secondo cui la vita è mossa da un cieco meccanismo ed è vista come una dura lotta per la sopravvivenza in cui i più forti sopraffanno i più deboli.

La vita come lotta per la sopravvivenza

La lotta per la sopravvivenza, regolata dalla legge del più forte, caratterizza la vita. Si tratta di una legge di natura che, proprio per questo, è immodificabile e necessaria. Verga spiega questo con la metafora dell’ostrica nella novella Fantasticheria (1880): quando l’ostrica si stacca dallo scaglio, cade preda di pericoli e finisce tra le mani del palombaro.

Come conseguenza è impossibile elevarsi, sia economicamente sia socialmente. I Malavoglia dell’omonimo romanzo cercando di abbandonare la loro condizione di pescatori per diventare commercianti, ma falliscono drammaticamente. Gesualdo Motta, dopo essersi arricchito, tenta di unirsi all’aristocrazia ma riceve solo odio e disprezzo. Il mondo di Verga è fatto da esigenze materiali sempre uguali, da tradizioni arcaiche e da una rigida gerarchia sociale.

L’impossibilità di esprimere un giudizio sulla realtà

Se il mondo è immutabile e il cambiamento è impossibile, è illegittimo anche qualsiasi giudizio da parte dell’autore sulla vicenda raccontata. La realtà è governata da una legge di natura crudele e immutabile, a cui non ci sono alternative. Lo scrittore, quindi, può solo fotografare la realtà nei suoi meccanismi fondamentali. A differenza di Zola, Verga non si propone di denunciare la condizione delle classi sociali più svantaggiate. Il verismo, piuttosto, si limita a studiare e rappresentare la realtà per come è.

Ciò però non significa che Verga fosse indifferente a certi temi sociali. La sua attenzione si concentra sui vinti, sulle classi sociali più umili, di cui lo scrittore parla con un linguaggio lucido e disincantato. Lontano da ogni forma di pietismo e di mitizzazione, fornisce una rappresentazione dura della realtà. Guarda però al presente e al futuro senza alcuna speranza di miglioramento: critica la società borghese ma rinuncia a ogni tentativo di lotta sociale. Da questo punto di vista risulta ancora legato alla mentalità siciliana dell’epoca, profondamente tradizionalista e fatalista.

La provvidenza nel pensiero di Verga

Il pessimismo di Verga è strettamente collegato al suo punto di vista materialista, che nega ogni trascendenza. Nelle sue opere non ci sono né Dio né provvidenza, così come manca completamente la fiducia che sulla terra possa realizzarsi un futuro migliore, che l’uomo può conquistarsi con i suoi sforzi. Coloro che tentano di rompere con il passato e con il loro retaggio finiscono per diventare dei vinti. La moralità e la saggezza consistono invece nell’accettare con rassegnazione il proprio destino.

L’impersonalità

All’impossibilità di esprimere un giudizio sulla realtà corrisponde l’impersonalità del narratore. Verga si propone di porre il lettore «faccia a faccia col fatto nudo e schietto». È l’eclissi del narratore verista: la voce del narratore non compare nel narrato, non spiega o anticipa nulla e fa considerazioni su quello che accade. Verga però va anche oltre, entrando «nella pelle» dei suoi personaggi e guardando «le cose coi loro occhi ed esprimerle colle loro parole». Per fare ciò l’autore deve regredire dalla sua condizione di letterato borghese al livello dei suoi personaggi. Così facendo, l’autore rimarrà invisibile e l’opera sembrerà «essersi fatta da sé», come un fatto naturale.

Nella narrativa verista di Verga, il narratore è semplicemente un occhio, che osserva i fatti senza darne interpretazione. La sua voce è calata nella mentalità, nella cultura, nei valori morali e nel linguaggio dei personaggi. Il pensiero di Verga si propone quindi una narrativa oggettiva e scientifica. Il lettore è così libero di trarre da sé le proprie conclusioni sui fatti raccontati, sulla base delle sue convinzioni.

La lingua

La regressione del narratore al livello dei personaggi comprende anche le soluzioni linguistiche. Verga cerca di raggiungere una rigorosa aderenza al parlato delle classi popolari ricorrendo al discorso indiretto libero. Nelle sue opere tornano inoltre espressioni e termini dialettali (anche volgari), conservando così la propria corrispondenza con il mondo reale. È da sottolineare che Verga non sceglie di scrivere in dialetto, né si usare in letteratura una vera e propria lingua parlata. Una scelta simile, infatti, avrebbe ristretto la diffusione delle sue opere. Usa piuttosto una lingua italiana in cui inserisce espressioni, vocaboli e strutture sintattiche tipiche della parlata siciliana.

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