La lauda è il genere più importante nella letteratura religiosa che si sviluppa nell’Umbria del Duecento. Diffusa in tutta l’Umbria, ebbe in Jacopone da Todi uno dei suoi massimi autori.

Origini della lauda nella letteratura religiosa

Per convenzione, la data di nascita della lauda coincide con quella della Confraternita dei Disciplinati guidata da Raniero Fasani. Siamo nel 1256 e i Disciplinati usavano praticare metodi di espiazione come la flagellazione pubblica. Era un rito che veniva accompagnato da canti corali, che riprendevano lo schema della canzone a ballo profana. Il movimento in seguito, dalla natia Perugia, si diffuse al Nord e raggiunse anche l’Europa centrale. I principali centri rimasero in Umbria, e in particolare Perugia e Assisi.

Le laude variavano a seconda dell’argomento religioso trattato: potevano essere liriche drammatiche, pasquali o della Passione. C’erano poi i componimenti che cantavano le lodi dei santi, di Cristo e della Madonna, oltre a veri e propri drammi sacri, scritti in forma di dialogo e recitati in occasione di ricorrenze religiose importanti. Queste esecuzioni erano inoltre accompagnate da musica. Era solito poi raccogliere le laude in laudari, cioè raccolte destinate alle confraternite religiose.

La letteratura religiosa nell’Italia del Duecento

La lauda, come genere, si diffonde principalmente nella letteratura religiosa di Toscana, Umbri, Marche, Abruzzo e Italia settentrionale. Sono per lo più di autore anonimo e ricorrono a strutture sintattiche semplici. I fatti più narrati sono gli episodi evangelici di maggior effetto, come i miracoli di Gesù e le vite della Vergine e dei santi. Questi eventi sono raccontati con trasporto, commosso sentimento e spirito religioso. Tra gli episodi più utilizzati ci sono la contemplazione del Bambino Gesù e il compianto della Madonna ai piedi della croce.

Jacopone da Todi

Il più importante autore di laude e in generale della letteratura religiosa dell’epoca è Jacopone da Todi. Nato a Todi tra il 1230 e il 1236 da una famiglia nobile, studiò diritto a Bologna ed esercitò come avvocato e notaio a Todi. Nel 1268 si convertì in seguito alla morte della moglie, che secondo la leggenda rimase uccisa dal crollo di un pavimento durante una festa da ballo. Jacopone avrebbe così scoperto che la donna indossava un cilicio, uno strumento di penitenza. Scosso, abbandonò la città di Todi e visse per dieci anni come mendicante, prima di diventare un frate laico francescano. In seguito, svolse un’intensa attività contro la corruzione nella Chiesa: finì scomunicato e arrestato nel 1298 per volontà del papa Bonifacio VIII. Liberato da Benedetto XI nel 1303, si ritirò nel convento di San Lorenzo di Collazzone, dove morì nel 1306.

La vita travagliata di Jacopone ritorna nella sue opere. Fortemente legato alla mistica medievale, rinnega tutto ciò che è legato al corpo e alle cose terrene per mostrare la negatività del mondo. La vita umana è segnata dal male, dalla morte, dal vizio, da sentimenti e affetti privi di autenticità, tutti elementi descritti con crudo realismo in dialetto umbro. Anche la sua esperienza ascetica è di conseguenza tormentata, e la ricerca di Dio passa attraverso l’umiliazione di sé. Di fronte ai valori propugnati dalla società, Jacopone sceglie la malattia e la follia. A questo si accompagna la critica contro la Chiesa di Roma e lo sfruttamento materiale della religione. La sua opera più importante è però lo Stabat Mater, una lauda dialogata che mescola parole del volgare umbro e latinismi, con una struttura metrica che ripropone i modelli della poesia dotta.

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