Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2023

Se Eraclito era considerato il filosofo del divenire, per il suo pensiero Parmenide era invece considerato fin dall’antichità il filosofo dell’immobilità e dell’unità delle cose. Con lui viene introdotto nella storia della filosofia occidentale il concetto di essere (to on), ed è quindi considerato il fondatore dell’ontologia (la scienza dell’essere).

Parmenide, il pensiero: il poema dell’essere

Parmenide nacque a Elea, colonia di Focea in Magna Grecia, ed ebbe la sua acme intorno al 500 a.C. Ebbe un ruolo politico di primo piano nella sua città, di cui fu anche legislatore. Le fonti antiche lo vogliono allievo di Senofane, ma oggi questa notizia è giudicata inattendibile. Il suo pensiero è esposto nel poema in esametri intitolato Sulla natura, di cui ci sono giunti vari frammenti, soprattutto per quanto riguarda quella che doveva essere la prima parte dell’opera.

Per comprendere il pensiero di Parmenide è necessario tenere sempre presente che, come presupposto, essere, pensiero e linguaggio coincidono. Il filosofo torna a più riprese su questo punto: per esprimere o pensare qualcosa, questo qualcosa deve essere. Il non essere non si può né esprimere né pensare. In questo modo, si preferisce descrivere la natura dell’essere attraverso la logica e le regole del pensiero.

Le vie nel pensiero di Parmenide

Nel poema il narratore (probabilmente lo stesso Parmenide) è su un carro condotto da sagge cavalle, che lo portano lungo la via di un divinità. Attraverso l’intercessione delle figlie del Sole, che pregano Giustizia di aprire le porte che custodisce, gli viene concesso di incontrare una dea (personificazione della verità). Il filosofo riceve una buona accoglienza e la dea gli rivela che lo istruirà sul «cuore della verità» e sulle «opinioni di mortali», che sono false.

La dea in particolare rivela che, che nella ricerca della verità, esistono due vie percorribili:

  1. la prima dice che «è (estin) e non è possibile che non sia»;
  2. la seconda dice che «non è (ouk estin) ed è necessario che non sia».

Le due vie si contraddicono, ma l’unica praticabile per giungere alla verità è la prima. Il non essere infatti, come avverte la dea, non si può né dire né pensare e quindi non può essere oggetto di conoscenza. Si afferma così la necessità di essere e l’impossibilità di non essere. I mortali tuttavia, lasciandosi ingannare dai sensi, non sanno quale via scegliere. Incapaci di cogliere la differenza tra le due vie, cercano continuamente di coniugarle, affermando che «sono delle cose che non sono» (einai me eonta).

L’essere e le sue caratteristiche

Seguendo la prima via è possibile scoprire quali sono le caratteristiche dell’essere. Parmenide descrive «ciò che è» come

  • ingenerato e imperituro,
  • in un eterno presente,
  • immutabile e immobile,
  • senza fine ma non infinito,
  • intero e indivisibile,
  • unico,
  • limitato e simile a una sfera.

Tutte queste caratteristiche rimarcano il fatto che l’essere non può avere nulla a che fare con il non essere. Per esempio, se fosse generato significherebbe che prima di nascere non era, ma questo è impensabile. L’essere inoltre non è senza fine ma non è neanche infinito, perché altrimenti potrebbe essere un tutto, cioè non sarebbe completo: la finitezza è sinonimo di compimento e perfezione. Parmenide paragona quindi l’essere a una sfera, che è definita in modo uguale da tutti i suoi lati.

Il pensiero di Parmenide dopo Parmenide: Melisso

Si può parlare di una scuola eleatica? Secondo la tradizione Parmenide fu allievo di Senofane e a sua volta ebbe come allievi Zenone e Melisso. La prima notizia è ormai considerata inattendibile dalla maggioranza degli studiosi: Senofane trascorse infatti a Elea troppo poco tempo per potervi stabilire una sua scuola. Ma il quadro cronologico che ci proviene dalle fonti rende difficile anche ricostruire i rapporti tra Parmenide e i suoi “allievi” Zenone e Melisso. Ma mentre sembra assodato lo stretto rapporto che legò Parmenide a Zenone, più complessa è la situazione per quanto riguarda Melisso.

Difficilmente, infatti, Melisso fu allievo diretto di Parmenide: nato a Samo 485 a.C. circa (quando Parmenide era forse sessantenne), ebbe ruoli politici di primo piano e fu ammiraglio della flotta di Samo che sconfisse gli ateniesi nel 441-440 a.C. Ma se visse a Samo, nell’Egeo orientale, come avrebbe potuto incontrare Parmenide a Elea, nell’Italia meridionale?

In ogni caso, sappiamo che Melisso riprese la dottrina parmenidea, sistematizzandola e aggiungendovi alcuni contributi personali. Per esempio, sostenne che l’essere è infinito, poiché se non è mai nato né mai morirà, non potrà avere nemmeno dei limiti. Melisso negò anche il vuoto, inteso forse come il corrispettivo fisico del non essere. In questo modo, però, finì per considerare l’essere parmenideo non un prodotto astratto ma una sostanza dotata di caratteristiche fisiche. Tutti problemi legati alla dottrina eleatica venivano così a galla, poiché la realtà fisica che possiamo osservare mal si concilia con l’immobilità e l’immutabilità sostenute da Parmenide.

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