Con Pitagora e i pitagorici la filosofia raggiunse la Magna Grecia. Il fondatore della scuola nacque infatti a Samo, ma intorno al 520 a.C. lasciò l’isola per trasferirsi a Crotone. Stando alle fonti, prima di raggiungere la Calabria visitò l’Egitto, la Mesopotamia e la Fenicia. A Crotone raccolse attorno a sé alcuni discepoli, dando origine a una scuola filosofica che aveva però anche una forte connotazione spirituale e religiosa.

Pitagora, la filosofia e l’organizzazione della scuola pitagorica

Poco o nulla sappiamo di Pitagora, la cui biografia si perde nella leggenda. Vari aneddoti sono giunti fino a noi, come per esempio che fosse in grado di rendersi invisibile, che avesse il dono dell’ubiquità e che avesse una coscia d’oro, segno della sua origine divina. Si racconta anche che tenesse lezione ai suoi discepoli parlando da dietro una tenda: è questo un aneddoto significativo, poiché la filosofia pitagorica era un sapere esoterico, a cui era possibile accedere solo dopo un percorso di iniziazione.

La scuola pitagorica era rigidamente organizzata secondo una scala gerarchica. A capo c’era il maestro, mentre al gradino più basso si trovavano i nuovi allievi, che dovevano osservare un periodo di silenzio. Tutti erano tenuti a custodire il segreto sulle dottrine, che non dovevano essere rivelate a nessuno che fosse estraneo alla scuola. Questo ha creato non pochi problemi agli storici, perché ha reso impossibile stabilire chi fosse effettivamente il padre delle diverse dottrine, se risalissero a Pitagora oppure ai suoi allievi. Il pitagorismo si diffuse nell’Italia meridionale e, dopo Crotone, altre scuole furono fondate a Metaponto e Taranto.

Il numero, principio della realtà

Per certi versi, i pitagorici proseguirono sulla linea di indagine degli ionici: ricercarono infatti l’arché di tutte le cose e lo trovarono nel numero. Per comprendere questo passaggio bisogna precisare che, a differenza dei moderni, gli antichi greci non consideravano i numeri come entità astratte. Nel VI secolo a.C. l’aritmetica non era ancora distinta dalla geometria, e i matematici rappresentavano i numeri come punti, quindi entità dotate di una consistenza spaziale. Per esempio, i pitagorici distinguevano tra numeri quadrati (dispari) e numeri rettangolari (pari). Questa distinzione si può comprendere osservando l’immagine qui sotto: i numeri pari disegnano due lati di un quadrato, mentre quelli dispari disegnano i lati di rettangolo.

Numeri quadrati (dispari) e numeri rettangolari (pari)

I pitagorici giunsero alla conclusione che il numero fosse l’arché di tutto a partire da due considerazioni:

  • tutte le cose sono numerabili, cioè possono essere contate, misurate o comunque rappresentate mediante un numero;
  • le leggi che regolano l’universo dei numeri, come per esempio la proporzionalità, sono viste come un segno dell’armonia del cosmo, il quale può quindi essere studiato attraverso l’indagine matematica.

Armonia e cosmo nella filosofia della scuola pitagorica

I pitagorici vedevano il cosmo come un tutto ordinato, che poteva essere conosciuto studiando le regole matematiche che lo governano. Questo principio fu applicato a vari campi, tra cui la musica. I pitagorici scoprirono infatti che era possibile ottenere dei suoni gradevoli solo se si rispettavano determinate proporzioni matematiche. Furono così i primi a usare gli intervalli musicali di quarta, di quinta e di ottava. Scoprirono inoltre i suoni potevano essere ordinati in serie che possono essere espresse numericamente.

Sono intuizioni da cui nacque una teoria onnicomprensiva della realtà: a governare il cosmo è l’armonia. In particolare gli astri, ruotando, produrrebbero dei suoni armonici che però gli uomini non riescono a percepire. Risale forse a Pitagora la centralità attribuita alla decade, che risulta dalla somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4=10). La filosofia della scuola pitagorica rappresentava la decade attraverso il tetraktys, in forma di triangolo, e lo considerava alla base non solo delle armonie musicali, ma di tutta la realtà.

Immortalità dell’anima e metempsicosi

Pitagora sostenne che le anime fossero immortali e che, con la morte, trasmigrassero da un corpo all’altro. I pitagorici credevano quindi nella metempsicosi: quando il corpo moriva, l’anima, dopo un certo periodo, si reincarnava in nuovo corpo. Connesse a queste dottrine che potremmo definire misteriche c’erano le rigide regole di comportamento previste dalla scuola pitagorica. Alcuni cibi (per esempio le fave) erano proibiti ed era necessario seguire uno stile di vita che consentisse la purificazione dell’anima e il suo ritorno, dopo la morte, alle sue origini divine.

Pitagora, i pitagorici e la politica

La scuola pitagorica ebbe grande importanza nella regione e finì per influenzare anche la politica, probabilmente in chiave aristocratica. Forse Pitagora ebbe un ruolo nella guerra che Crotone condusse, con successo, contro Sibari (510 a.C.): i pitagorici sostennero il regime oligarchico di Crotone contro la democratica Sibari, dipinta come luogo di immoralità. Alla fine del VI secolo, tuttavia, una sommossa popolare fu agitata contro la scuola, forse per il malcontento legato alla guerra. Pitagora dovette rifugiarsi a Metaponto, sede di un’altra scuola pitagorica, dove morì.

Attorno al 450 a.C. si verificò una seconda sommossa, durante la quale furono incendiate le sedi di tutte le scuole pitagoriche. Molti pitagorici dovettero fuggire. Tra questi ci fu Filolao di Crotone, che si trasferì in Grecia, dove per primo insegnò pubblicamente le dottrine pitagoriche. Archita di Taranto, invece, rimase in patria e riuscì a istituire un governo ispirato al pitagorismo.

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