Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Fuoco pallido di Vladimir Nabokov è allo stesso tempo un poema e un commentario a un poema. Il romanzo forse più sperimentale dello scrittore russo ruota attorno all’opera del poeta John Shade, intitolata Fuoco pallido appunto. Della sua edizione si occupa il critico Charles Kinbote, che nell’introduzione e nelle note non perde occasione per parlare della sua terra natia, il regno di Zembla, tra digressioni e pettegolezzi. Siamo quindi di fronte a un iperromanzo, in cui diversi piani si incrociano.

Fuoco Pallido: il poema di John Shade

Fuoco pallido è il poema di John Shade, poeta e docente al Wordsmith College, un’immaginaria università della costa orientale degli Stati Uniti. Dall’introduzione firmata da Kinbote, suo amico ed estimatore, apprendiamo che Shade è morto da pochi mesi e che quindi l’opera è postuma e la sua edizione si basa su minute e manoscritti.

Organizzato in quattro canti per un totale di 999 versi, Fuoco pallido è un poema autobiografico, in cui Shade ricorda il suicidio della figlia e un infarto che lo ha portato vicino alla morte. Il porta riflette sull’esistenza e sulla morte, e giunge a immaginare che esista un aldilà. Curiosamente, negli ultimi versi Shade si dice certo che il giorno dopo sarà ancora vivo e che sarà un bellissima giornata, ignaro che invece la morte lo attende.

Il commento a Fuoco pallido di Charles Kinbote

Charles Kinbote è un aristocratico critico letterario originario di Zembla, un regno immaginario dell’Europa settentrionale. Si è rifugiato negli Stati Uniti dopo il colpo di stato che, nel suo paese natio, ha deposto il re Charles Xavier e istituito una repubblica socialista. Nell’introduzione ci informa di essere stato vicino di casa, amico e confidente di Shade, e di avergli a lungo parlato della sua terra d’origine. Sostiene infatti che l’opera che sta commentando è un poema su Zembla che egli stesso ha commissionato al poeta. Per questo motivo si è impossessato dei manoscritti subito dopo la morte dell’autore e lo ha nascosto fino al momento della pubblicazione.

I versi autobiografici di Shade diventano per Kinbote occasione di parlare di Zembla e del suo re deposto, che a suo dire sono la fonte di ispirazione del poeta. Veniamo così a sapere la storia recente del regno: l’arrivo di Charles Xavier il Beneamato sul trono, i suoi interessi rivolti più alla letteratura che alla politica, il golpe e la sua avventurosa fuga all’estero. Mano a mano che prosegue il commentario, però, Kinbote getta la maschera. Il re da lui tanto ammirato non è altri che lo stesso Kinbote (o almeno crede di esserlo). Conosciamo così anche le ultime ore di Shade, del complotto organizzato per uccidere il re fuggito negli USA e di come il poeta sia stato ucciso per errore dal sicario.

I due “autori”

Pubblicato in inglese nel 1966, il romanzo richiede al lettore particolare attenzione perché incrocia diversi piani. Quello più evidente è il rapporto sono i due autori – Shade e Kinbote – che instaurano un dialogo tra di loro e cercano di mettersi in ombra a vicenda. Alla fine sarà Kinbote a spuntarla su Shade (il cui nome, non a caso, significa “ombra”). D’altra parte, lo stesso Kinbote afferma che «nel bene come nel male, è il commentatore ad avere l’ultima parola».

La struttura intricata dell’opera si presta però a varie interpretazioni. Una di queste sostiene che l’estensore del commentario sia in realtà V. Botkin, docente russo del Wordsmith College, e che Kinbote sia solo un suo alter ego. Secondo altre teorie, invece, ci sarebbe un unico autore: John Shade. Il poeta avrebbe scritto sia il poema sia il commentario, attribuendolo a un personaggio immaginario, e poi avrebbe inventato anche la sua morte. Altri hanno però immaginato che sia Kinbote l’unico autore, e che Shade sia il risultato della sua mente dissociata.

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