Ultimo aggiornamento: 25 Aprile 2023

Il pensiero di Arthur Schopenhauer (1788-1860), tra i più importanti filosofi tedeschi di epoca romantica, cerca di rispondere alla domanda: perché l’esistenza è indissolubilmente segnata dalla sofferenza? Nella sua riflessione giunse così a sviluppare un sistema coerente e organico che tenta di spiegare la presenza del dolore e del male nel mondo.

Le fonti del pensiero di Schopenhauer

Quattro sono le fonti di ispirazione da cui Schopenhauer partì per sviluppare il proprio pensiero:

  • Platone, e in particolare la concezione del mondo sensibile come apparenza che nasconde la realtà (si pensi, ad esempio, al mito della caverna nella Repubblica);
  • Kant e il criticismo, da cui riprese la distinzione tra fenomeno (rappresentazione) e noumeno (cosa in sé);
  • i Veda e il pensiero indiano, secondo cui il mondo è un’illusione;
  • il Romanticismo.

I primi passi del pensiero di Schopenhauer

Nel 1813 Schopenhauer pubblicò La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (Ueber die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde). Fu la sua prima opera filosofica, la dissertazione con cui si laureò all’università di Jena. Partendo dal criticismo di Kant, Schopenhauer sostiene che non si possa parlare della cosa in sé (noumeno), che trascende il fenomeno. L’unica cosa che può essere studiata è il modo con cui il soggetto si rapporta al mondo e se lo rappresenta. Di conseguenza, anche il principio di ragion sufficiente (“nulla esiste senza una ragione del suo essere”) ha valore solo per quanto riguarda il modo in cui i fenomeni si presentano al soggetto che se li rappresenta. Schopenhauer riconosce quattro classi di «oggetti per il soggetto», a cui corrispondono quattro forme del principio di ragion sufficiente (pdrs):

  1. le rappresentazioni intuitive, che costituiscono l’esperienza e alle quali il pdrs si applica nella forma della legge di causalità; la sensibilità e l’intelletto applicano questa legge ai fenomeni secondo tre forme dell’intuizione:
    • spazio,
    • tempo,
    • causa;
  2. le rappresentazioni astratte (o concetti), formano il contenuto della ragione e sono regolati dal pdrs nella forma del principio del conoscere;
  3. le rappresentazioni di spazio e tempo, separate dalla materia e applicate all’ambito della matematica; sono regolate dal pdrs nella forma del principio di dell’essere;
  4. le azioni, legate al pdrs dell’agire, che si basa sul nesso tra motivazione (o stimolo) e azione.

Le quattro forme del principio di ragion sufficiente riguardano solo i fenomeni e non consentono di raggiungere la cosa in sé. Nei suoi sviluppi successivi, la filosofia di Schopenhauer cercò un’altra via di accesso alla cosa in sé, tentando quindi di dare una spiegazione totale della realtà.

Struttura del Mondo come volontà e rappresentazione

Chiave di accesso principale al pensiero di Schopenhauer è la sua opera più importate, Il mondo come volontà e rappresentazione (Die Welt als Wille und Vorstellung), a cui dedicò gran parte della sua attività di scrittore. La prima edizione vide la luce nel dicembre 1818. Si compone di quattro libri:

  • il Libro I tratta del mondo come rappresentazione e del punto di vista della scienza, per la quale il mondo è un fenomeno globale dotato di senso;
  • il Libro II tratta del mondo come volontà e mostra come, dietro all’apparenza di razionalità, il mondo riveli un fondo irrazionale;
  • il Libro III torna al mondo come rappresentazione e parla di come l’esperienza artistica possa mostrare la cosa in sé (volontà) dietro il fenomeno;
  • il Libro IV torna al mondo come volontà e affronta il tema della dialettica della volontà.

Il mondo come volontà e rappresentazione ebbe un’accoglienza tiepida e si rivelò un fallimento editoriale. Nel 1844 Schopenhauer pubblicò, con scarsa fortuna, una seconda edizione arricchita di un nuovo volume: i Supplementi al mondo come volontà e rappresentazione. La fama e il successo arrivarono solo nel 1851 con i Parerga e paralipomena (Parerga und Paralipomena), un’opera divulgativa delle sue dottrine, grazie alla quale si accese l’interesse anche attorno alla sua opera principale.

Il mondo come rappresentazione

Entriamo ora nel cuore del pensiero di Schopenhauer. Quella che cerca di costruire è una metafisica dell’immanenza, che non va al di là dell’esperienza ma cerca di comprendere il mondo che è all’interno dell’esperienza. Essenziale è a questo punto la distinzione tra il mondo come rappresentazione (Vorstellung) e il mondo come volontà (Wille).

Quando il soggetto si rivolge verso il mondo esterno, vi applica le forme a priori della sensibilità e dell’intelletto (già trattate nella Quadruplice): tempo, spazio e causa. In questo modo però conosce solo il fenomeno, non la realtà in se stessa. È questo il mondo che conosciamo con l’esperienza comune e la scienza. Ma è un mondo ingannevole, un’apparenza e un sogno. Dalla tradizione indiana Schopenhauer riprende l’immagine del velo di Maya, un velo che copre gli occhi degli uomini e fa loro vedere un mondo illusorio, che essi prendono per vero.

Il mondo come volontà

Tuttavia, se il soggetto rivolge il suo sguardo verso il proprio interno, verso la propria autocoscienza, scopre una nuova verità: il mondo come volontà. È una dimensione altra rispetto al fenomeno, che si ricava dall’autocoscienza degli atti volontari (io voglio compiere determinati gesti). Nel riconoscersi come volontà, il soggetto si riconosce quindi come cosa in sé. In questo modo Schopenhauer trova una via d’accesso alla cosa in sé, che la sua essenza nella volontà di vivere.

Il corpo diventa così un medio tra il fenomeno e la volontà. Per il soggetto il proprio corpo è un oggetto primo e immediato, ma è anche possibile, attraverso l’autocoscienza, conoscerlo come “io voglio”. Che cosa sia la volontà è impossibile saperlo; tuttavia è possibile scoprire, attraverso l’autocoscienza, come la volontà si manifesta.

Volontà, natura e uomo

Presa nella sua essenza metafisica, la natura è vista come un’unica e complessa manifestazione della volontà, che è in sé unica e identica in tutti i fenomeni. L’applicazione al mondo delle forme del principio di ragion sufficiente (spazio, tempo, materia, individuazione, finitezza) porta alla molteplicità delle manifestazioni della volontà. Tra l’unità della volontà e la molteplicità delle sue manifestazioni ci sono però dei gradi intermedi, le idee, intese platonicamente come modelli o archetipi, a cui la volontà si rifà. La legge naturale, a sua volta, è una mediazione tra l’idea e il fenomeno.

Schopenhauer definisce quindi diversi gradi di oggettivazione della volontà, che dalla natura inorganica portano a quella organica, al mondo vegetale, al mondo animale e infine all’uomo. Tuttavia sarebbe errato vedere in ciò le basi per sostenere l’armonia del tutto. Al contrario, la natura mostra una costante lotta per la sopraffazione, segnata dal dolore, in cui gli esseri viventi sopravvivono sopprimendo altri esseri viventi. In altre parole, la volontà, per affermarsi, distrugge e divora continuamente le sue stesse oggettivazioni.

Una volta che si è sollevato il velo di Maya delle illusioni, quindi, si scopre che dietro ai fenomeni c’è una volontà di vivere cieca e irrazionale, che ha come unico scopo quello di affermare se stessa.

L’etica e la libertà di volere

A questo punto si pone il tema della libertà di volere. La volontà è libera di volere ciò che vuole? E qual è la sua essenza? Schopenhauer si propone così il compito di sviluppare una metafisica che coincida con l’etica. Anche la coscienza dell’uomo, infatti, è un fenomeno della volontà, e comprende l’intelletto (inteso come possibilità di intuire i nessi causali) e la ragione (capacità di pensiero astratto). Schopenhauer inoltre ritiene che la coscienza sia un fenomeno del cervello: da qui discende la dottrina secondo cui l’intelletto è servo della volontà. L’intelletto, manovrato dalla volontà, le offre quindi la possibilità di realizzare razionalmente ciò che essa vuole inconsapevolmente.

L’arte e l’emancipazione dalla volontà

Il Libro III del Mondo espone l’estetica di Schopenhauer. L’arte è intesa come la forma di conoscenza propria del genio. Ma mentre gli uomini comuni conoscono tramite nozioni intuitive e astratte, il genio e l’artista conoscono direttamente le idee, superando le rappresentazioni per cogliere l’oggettività immediata della volontà. L’arte, dunque, ha il compito metafisico di esprimere la realtà come volontà: l’atteggiamento conoscitivo che realizza è quello del puro soggetto contemplativo. Sia l’artista sia lo spettatore, di fronte a un’opera d’arte, sono posti davanti a una rappresentazione pura della volontà. In altre parole, l’arte è l’unica forma di conoscenza che consenta di cogliere l’oggetto in sé, al di fuori dell’esperienza fenomenica. Essa inoltre permette, seppur momentaneamente, di liberare l’intelletto dalla servitù della volontà.

Le vie della liberazione nel pensiero di Schopenhauer

L’uomo quindi non è libero, però può intraprendere la strada che porta alla liberazione. Per farlo si deve affrancare dai condizionamenti del mondo fenomenico e approfondire il fatto di essere essenzialmente identico alla volontà. L’arte, come si è visto, offre una via di liberazione momentanea. Una liberazione definitiva può arrivare solo dalla morale.

L’uomo è infatti libero nel momento in cui si identifica con la volontà di vivere. Si pongono così due alternative:

  • l’affermazione, cioè l’atteggiamento dell’uomo vitale, di chi accetta di identificarsi con la volontà metafisica e di conseguenza afferma la vita;
  • la negazione (noluntas), cioè l’atteggiamento dell’asceta, che avendo orrore del dolore e della miseria dovuti alla volontà sospende il proprio assenso alla volontà.

Il suicidio non è una strada praticabile, perché sopprime la vita come fenomeno individuale e non la volontà in sé (che continua a vivere nelle sue altre rappresentazioni). Schopenhauer rifiuta inoltre di scegliere quale delle due vie, quella dell’asceta e quella dell’uomo vitale, sia da preferire a priori.

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