Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Tra le opere più lette e conosciute di Nietzsche, La nascita della tragedia scardina l’immagine di un mondo greco basato su armonia ed equilibrio. La tragedia, vertice della cultura ellenica, nasce dall’incontro tra il solare Apollo e l’ebrezza dionisiaca. Un’interpretazione più filosofica che filologica, ma destinata a rivoluzionare gli studi classici.

Tragedia e vita nella Nascita della tragedia di Nietzsche

La prima fase del pensiero di Nietzsche è legata allo studio dei classici greci. Il filosofo infatti si formò come filologo classico presso l’università di Basilea, dove fu anche docente fino al ritiro nel 1879. Tuttavia, fin dagli inizi rifiutò la “filologia accademica” dell’epoca: ciò è evidente nella sua prima opera, La nascita della tragedia (1871). Il saggio, destinato a cambiare il modo in cui gli studiosi guardavano al mondo greco antico, contesta gli studi che vedevano la grecità come il mondo dell’armonia e dell’equilibrio, seguendo una visione di impronta classicista. La cultura greca, al contrario, attraversò diverse fasi e non può essere identificata con una singola età, quella classica appunto.

Dalla lettura di Schopenhauer, Nietzsche riprende l’idea di un mondo governato dall’irrazionalità e dal dolore. Al contrario della noluntas schopenhaueriana, però, Nietzsche nei tragici greci ritrova un atteggiamento di coraggiosa accettazione del dolore. Se si rinuncia a ogni forma di consolazione, sia religiosa sia metafisica, si deve fare i conti con il lato tragico dell’esistenza e accettare l’irrazionalità dell’esistenza stessa. Amare la vita significa, in ultima analisi, amare tutte le sue problematiche e le cose terribili.

Un altro punto di riferimento è però Goethe con la sua celebrazione della vita. Nietzsche ne ricava la concezione che la vita è volontà, infinita forza espansiva. La vita distrugge tutto ciò che crea e genera infelicità per l’uomo; l’uomo però non può rinunciare alla vita, né può smettere di desiderare la vita e votarsi al nulla. Ai mali della vita, quindi, si risponde con più vita: di fronte alla crudeltà della vita si risponde con più crudeltà.

Nietzsche: la nascita della tragedia dallo spirito della musica

Modello di artista tragico, per Nietzsche, è Wagner, per il quale la musica è per eccellenza l’arte dell’interiorità e dell’inesprimibile. Avvicinatosi anch’egli a Schopenhauer, Wagner ritiene che la musica sia l’arte più lontana dal concetto, il quale blocca la vita in una rappresentazione. La musica invece supera tutti i vincoli della ragione per donare all’uomo un’esperienza assoluta, ed è quindi l’unica via di liberazione possibile. Nietzsche stabilì con Wagner un’intensa collaborazione, che durò dal 1868 al 1876, anno della burrascosa rottura.

Anche la tragedia greca, per Nietzsche, nasce dallo spirito della musica. Il coro, una delle parti fondamentali della tragedia, infatti narra non un logos, un discorso razionale, ma di Dioniso, il dio dell’ebrezza che si oppone all’autocoscienza razionale. Da qui la polarità tra dionisiaco e apollineo, che sta alla base della tragedia.

Apollineo e dionisiaco

Nella filosofia del giovane Nietzsche, l’arte è l’unico mezzo per spiegare il mondo e la vita, per vedere la realtà dietro al velo delle apparenze. E la tragedia, in quanto opera d’arte, offre la vera chiave di comprensione dell’essere. Nietzsche esprime la propria concezione estetica ricorrendo a due figure tratte dal mito greco: lo spirito dionisiaco e lo spirito apollineo.

La tragedia è la massima espressione dell’arte greca, nata dall’incontro tra le due forze che animavano il mondo greco, il dionisiaco e l’apollineo appunto. Dioniso è il dio dell’ebbrezza, del caotico e della notte; Apollo è il dio della misura, della perfezioni e del sole. L’apollineo trova espressione nell’architettura e nella scultura, il dionisiaco, come impulso di liberazione e abbandono, nella musica. Nella tragedia, apollineo e dionisiaco si incontrano nella fusione tra l’azione drammatica e il canto del coro.

Diversamente dall’interpretazione classicista, l’apollineo si trova per Nietzsche in tensione con l’elemento caotico, il dionisiaco. In origine, però, è il dionisiaco a prevalere e la tragedia nasce proprio sotto il segno di Dioniso. Se però l’apollineo è illusione, nel dionisiaco si rivela la vita per come essa è: un crudele gioco di nascita e morte, la perdita di qualsiasi stabilità in un flusso ininterrotto. Con il dionisiaco

Socrate e la morte della tragedia

Tuttavia la tragedia muore e Nietzsche ne indica due responsabili, in qualità di mandante e sicario: Socrate ed Euripide. La tragedia infatti muore nel momento in cui nel pensiero greco si impone il primato della ragione, e ciò avviene per opera del filosofo ateniese. È però con Euripide che si consuma la morte della tragedia: nelle sue opere trasforma l’azione drammatica in un dibattito teorico, abbandonando la profondità del mito. Il lavoro di Euripide è una conseguenza dell’ottimismo razionalista socratico, che cerca una struttura razionale della realtà. In questo modo l’uomo tragico è sostituito dall’uomo teoretico. Tuttavia il tragico sopravvive perché è una dimensione ineliminabile della vita e ritorna nell’opera di Richard Wagner.

In un’opera successiva, La filosofia nell’età tragica dei Greci (scritto nel 1873 ma pubblicato postumo), Nietzsche individua una frattura tra Socrate e i filosofi a lui precedenti, i presocratici. In particolare in Eraclito ritrova quello che ritiene il nucleo del suo pensiero: il primato del divenire sull’essere.

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