Riassunto de Il tramonto dell’Occidente (Der Untergang des Abendlandes) di Oswald Spengler. Completato nel 1914 ma uscito solo nel 1918, fu poi ripubblicato in una versione ampliata nel 1922. La versione definitiva del 1923, in due volumi, è una delle opere più influenti della cultura tedesca del primo dopoguerra.

Introduzione: vita e opere di Spengler

Per parlare de Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler vediamo prima un riassunto di vita e opere dell’autore. Nato il 29 maggio 1880 a Blankenburg, in Sassonia-Anhalt (Germania), in una famiglia della piccola borghesia conservatrice, studiò matematica, filosofia, storia e storia dell’arte a Berlino e Monaco. Conseguì un dottorato in filosofia ma non poté proseguire con la carriera accademica. Per alcuni anni insegnò storia e materie scientifiche in un ginnasio ad Amburgo, quindi alla morte della madre di trasferì a Monaco. Condusse una vita priva di eventi particolari, mantenendosi con i pochi guadagni.

La fama arrivò con la pubblicazione della sua opera più importante, Il tramonto dell’Occidente (1918-1922). Nel clima di crisi in cui versava la società tedesca dopo la sconfitta nella Grande Guerra, il saggio conobbe grande successo. I pareri però furono contrastanti e ne nacque una vivace polemica. La tesi di fondo era che tutte le grandi civiltà (Kultur), come organismi viventi, passano attraverso varie fasi che terminano con la decadenza della Zivilisation. La civiltà occidentale, come recita il titolo, si trova proprio in una fase di decadenza avanzata.

In seguito Spengler scrisse altre opere, come L’uomo e la tecnica (1931) e Anni della decisione (1933), in cui continuò a sviluppare le proprie idee. Trascorse gli ultimi anni a Monaco, ascoltando Beethoven, leggendo libri e collezionando armi esotiche. Morì per un attacco cardiaco l’8 maggio 1936.

La concezione della storia in Spengler

Spengler apre la sua opera affrontando questioni metodologiche, a cominciare dalla differenza tra lo storico e il naturalista. Quest’ultimo infatti analizza gli esseri viventi come forme statiche, basandosi sul metodo matematico. Lo storico, al contrario, studia la realtà viva nel suo divenire ricorrendo al metodo dell’analogia. Si crea così una contrapposizione tra storia e natura, a partire dalla quale Spengler si propone di dimostrare che esiste solo un numero limitato di situazioni e che le caratteristiche delle singole epoche si ripetono uguali. Al pari di un organismo, che durante la sua vita di sviluppa attraversando fasi bene individuabili, così anche le civiltà si evolvono secondo un ciclo di nascita, sviluppo e decadenza. Si rigetta così l’idea illuminista che interpretava la storia come un progresso: la storia è piuttosto la successione di civiltà millenarie indipendenti tra di loro.

Nella storia universale Spengler individua otto civiltà (Kultur): babilonese, egiziana, indiana, cinese, ellenico-romana, araba, occidentale e maya. In tutte queste individua delle caratteristiche comuni: in media durano circa un millennio e attraversano delle fasi che corrispondono a quelle della vita di un individuo. Gli inizi sono caratterizzati da aspetti che richiamano la giovinezza, così come la conquista di una maggiore consapevolezza corrisponde alla maturità. Alla fine giunge però la decadenza (Zivilization), con l’inevitabile declino delle forze spirituali. Una volta esaurite le energie, una civiltà languisce per qualche tempo prima che il ciclo si chiuda. La civiltà occidentale, secondo Spengler, è in una fase di decadenza avanzata.

Kultur vs Zivilisation

Ma cosa caratterizza la decadenza? Spengler elenca le differenze tra Kultur e Zivilization. La Kultur è una cultura viva e vitale. Ciascuna civiltà, come abbiamo detto, è come un organismo e in quanto tale ha una propria identità, a cominciare da un sistema di valori ben definito. Questi valori sono assoluti per la civiltà, ma sono relativi se si allarga lo sguardo e si prendono tutte le civiltà insieme. La vita degli individui si svolge nelle province, dove si esprime a misura d’uomo, ed era caratterizzata da saldi valori e da un forte senso religioso.

La Zivilization è invece la raffinata cultura decadente e transnazionale che il filosofo osserva nell’Europa a lui contemporanea. È caratterizzata dalla presenza di grandi metropoli, nelle quali vivono masse di individui anonimi, privi di rapporti tra di loro. Il cosmopolitismo, che prende il posto di quello che un tempo era la patria, sostituisce la tradizione e la religiosità con il senso pratico e l’irreligiosità scientista. La democrazia dei sistemi politici in realtà copre il vero potere che domina questa realtà decadente, cioè il denaro. I grandi gruppi finanziari, con i loro capitali, controllano i capi politici e manipolano l’informazione. La fase finale è l’arrivo della dittatura e il ritorno alla barbarie, da cui nascerà una nuova civiltà.

Questa, secondo Spengler, era anche la condizione in cui versava l’Occidente dopo la prima guerra mondiale. L’opera fu letta come un esame di coscienza dell’Europa confusa di fronte alla propria decadenza. Una lettura che affascinò i suoi contemporanei, che vivevano in un Germania uscita a pezzi dalla guerra e che finì per genere un dibattito di dimensioni continentali.

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