Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

L’ultima fase del pensiero di Nietzsche è segnata dall’immagine del superuomo, tratteggiata a partire da Così parlò Zarathustra (1883-1885). Collegati al superuomo sono i temi dell’eterno ritorno e della volontà di potenza.

Zarathustra, Nietzsche e il superuomo

La figura del superuomo compare in Così parlo Zarathustra (1883-1885) e nelle opere successive: Al di là del bene e del male (1886), Genealogia della morale (1887), Il caso Wagner (1888), Crepuscolo degli idoli (1888) e nei postumi L’anticristo, Ecce homo, Nietzsche contra Wagner.

In un celebre passo dello Zarathustra, Nietzsche afferma che l’uomo è teso tra la bestia e il superuomo. In questo senso, il superuomo (Übermensch, traducibile anche come «oltre-uomo») è da intendere come un superamento dell’uomo. Non però in senso evoluzionistico: Nietzsche anzi è del parere che la società a lui contemporanea abbia subito una regressione, se paragonata agli antichi Greci e agli uomini del Rinascimento. Le cause sono l’ingenua fede nel progresso instillata dalla scienza, l’idealismo hegeliano (accusato di idolatrare la storia) e l’idea di Provvidenza propria del cristianesimo.

A caratterizzare il superuomo è una disposizione dionisiaca verso la vita. È una figura luminosa, aperta con gioia alla vita ma allo stesso tempo pessimista. Il superuomo non distoglie lo sguardo davanti alle contraddizioni della vita, ma ne accetta anche gli aspetti più spaventosi. Il suo atteggiamento è caratterizzato dalla hybris, la tracotanza di chi è indifferente al bene e al male. Il superuomo è quindi senza morale e si contrappone al Cristo crocefisso, simbolo di sconfitta e decadenza.

A lui, al superuomo pre-cristiano (perché si rifà ai Greci antichi), spetta il compito di salvare l’uomo dal nichilismo. Essendo Dio morto, il superuomo inoltre si rivolge alla terra: l’umanità deve abbandonare l’illusione in una vita dopo la morte. La realtà ultraterrena, infatti, non è altro per Nietzsche che un riflesso utopico della vita terrena. La terra ora prende il posto di Dio.

Nietzsche, il superuomo e l’eterno ritorno

La dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale rappresenta l’orizzonte per il superuomo. Nietzsche parla di questo concetto come di un pensiero abissale, che lo colse all’improvviso. Il mondo non è retto da un ordine provvidenziale e il tempo non ha fine e non ha nemmeno un andamento lineare. È sbagliato pensare che ogni cosa abbia un inizio e una fine: si tratta di un errore diffuso nell’Occidente dalla cultura ebraico-cristiana. A questo Nietzsche oppone una visione ciclica del tempo, ripresa dai presocratici e dalle tradizioni orientali antiche. Tutti gli eventi sono destinati a ripetersi all’infinito, in un tempo circolare. Ogni evento è già stato infinite volte e tornerà a essere, identico, infinite volte.

La visione lineare del tempo porta l’uomo a sentire il peso del passato e a considerare il futuro come qualcosa di incombente. Ciò gli impedisce di apprezzare il presente. Ma se tutto ritorna, ogni istante non è un passo avanti o indietro, e non è nemmeno possibile individuare una direzione e una finalità nel tempo. Ogni attimo assume in sé un suo valore, indipendentemente da quelli che lo precedono e lo seguono. Il superuomo accetta la ciclicità del tempo, vuole coscientemente per sé ciò che gli animali e gli altri uomini subiscono in maniera inconsapevole. Vive l’attimo presente come fosse eterno, come qualcosa che merita di essere vissuto.

Da qui discendono due massime. La prima dice che l’attimo deve essere affidato non al destino ma alla volontà e al coraggio. Per la seconda massima, ogni attimo deve essere tale da desiderare di riviverlo infinite volte. Solo un uomo perfettamente felice potrebbe volere la ripetizione di ogni attimo della propria vita. D’altra parte, solo la ciclicità del tempo garantisce una piena felicità, perché ogni istante gode di una propria pienezza. Le due cose quindi sono intrecciate.

La volontà di potenza

La felicità del superuomo ha una condizione necessaria, che Nietzsche individua nella volontà di potenza, cioè la volontà che vuole se stessa. Se Dio è morto, l’uomo può assurgere a padrone del proprio destino e la sua volontà può affermare liberamente se stessa. Dai Greci Nietzsche ricava la lezione che ogni vita ha un istinto alla potenza, che il mondo ellenico esprimeva nelle forme delle competizioni sportive, delle gare poetiche e del confronto filosofico. I Greci, in questo modo, avevano incanalato la loro volontà rendendola pienamente creativa.

Nietzsche prende così le distanze da Schopenhauer, che aveva negato il piacere e la creatività, cercando un’illusoria liberazione dal dolore nell’ascesi. Ritorna così l’immagine dell’artista creatore, ma l’arte della volontà di potenza non è quella romantica, che scade nel sentimentalismo. È piuttosto l’arte della tragedia, i cui personaggi accettano di vivere nell’eterno ritorno.

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