Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio 2023

In Cesare Pavese poetica e pensiero sono strettamente collegati alla sua tormentata vicenda biografica. Elemento fondamentale, che si può ritrovare nelle sue opere principali, è la riflessione sul mito, a cui si collegano i temi dell’infanzia e della terra natia.

Il mito nella poetica di Cesare Pavese

Al centro della poetica di Cesare Pavese c’è il mito. È un interesse che maturò sia leggendo scrittori come Nietzsche, D’Annunzio e Mann, sia studiando opere di etnologia (tra tutti, il Ramo d’oro di James G. Frazer). Inoltre, la sua riflessione sul tema si riversò nelle sue opere letterarie e in alcuni saggi teorici.

Caratteristica principale del mito è di isolare determinati luoghi che hanno fatto da scenario a eventi o gesta uniche, attribuendo loro un valore assoluto. Così avviene, per esempio, con i ricordi dell’infanzia: i luoghi in cui sono accaduti avvenimenti significativi si ciascuno, nella memoria di ciascuno, di particolare importanza. Al mito sono quindi collegati due temi fondamentali della poetica di Pavese, cioè l’infanzia e il paesaggio. Da qui lo scrittore crederà di poter recuperare quelli che Jung chiama gli archetipi, le immagini primordiali in cui si manifesta l’inconscio collettivo dell’umanità. Il mito è qualcosa di comune e preesistente, ma, come si vedrà, è allo stesso tempo oscuro e misterioso.

L’infanzia

L’infanzia è, nel pensiero di Pavese, un periodo particolarmente felice, perché il mito viene vissuto in maniera spontanea e inconsapevole. Nel momento in cui si acquista consapevolezza della situazione, l’infanzia termina. È però anche una fase decisiva nella vita di un uomo, che lo determinerà per sempre. Scoprire se stessi, quindi, richiede un ritorno alle proprie origini e alla propria infanzia. Da qui l’interesse centrale che Pavese ha per il primitivo, il rustico e il selvaggio, cioè forze ignote che è impossibile definire con termini razionali. L’uomo non può dominare queste forze e la società cerca di ridurle a qualcosa conosciuto.

Città e campagna nella poetica di Cesare Pavese

Alla ricerca delle proprie origini si lega la concezione che Pavese ha del paesaggio, e in particolare del paesaggio delle Langhe, sua terra natia. La collina su tutti diventa il luogo mitico per eccellenza nelle sue opere. Qui si pone anche la contrapposizione tra città e campagna. Il paesaggio di campagna mette in relazione le verità eterne della nascita e della morte con il ritmo eterno della natura. I lavori agricoli seguono il tempo del mito, eterno e sempre uguale, contrario a quello della storia. Qui la vitalità originaria si manifesta come una forza cieca e mortale. Viceversa, la città è movimento e artificio che trasforma le cose e allontana dalla natura. Anche l’uomo in città si trasforma, si costruisce come soggetto sociale ma allo stesso tempo si perde in una vita priva di valore, fatta solo di oggetti.

Cesare Pavese e la poetica delle opposizioni

Quella tra città e campagna e solo una delle opposizioni che attraversano tutta l’opera di Pavese. Le altre sono:

  • ozio/lavoro;
  • individualismo/socialità;
  • infanzia/maturità;
  • uomo/donna.

Su queste contrapposizioni Pavese strutturò tutta la sua opera, sia quella poetica sia quella narrativa.

Il ruolo della poesia

Se il mito è qualcosa di oscuro e misterioso, la poesia ha il compito di dargli una forma, cioè di dare un ordine razionale a qualcosa che è informe e irrazionale. Da qui nasce il travaglio che accompagna il lavoro del poeta, un travaglio che, nel pensiero di Pavese, assolve a una funzione conoscitiva e liberatoria. La sua poesia nasce infatti dalla trascrizione dei suoi tormenti interiori e della sua individuale esperienza umana, riflette le immagini mitologiche di ciascuno e le porta a chiarezza attraverso cose e racconti.

La tecnica

Altro concetto centrale è quello di tecnica: la poesia, in Pavese, è anzitutto tecnica e mestiere. Tenendosi lontano da facili sentimentalismi di ascendenza romantica, lo scrittore langhigiano sottoponeva i suoi componimenti a una rigorosa revisione formale. Ciò è vero sia nella poesia sia nella sua narrativa, che evita il romanzesco e ritorna sempre ai temi che rappresentano il nucleo fondamentale della sua poetica.

Cesare Pavese: poetica del simbolo

L’interesse fondamentale della narrativa di Pavese non è raccontare la realtà per come è oggettivamente, ma esplorare i sensi molteplici e segreti che affiorano dalla realtà stessa. In altre parole, la realtà è un gioco di simboli, nel quale le cose quotidiane vengono trasformate e ricevono un valore. Il significato delle sue opere si può scoprire solo se si va oltre l’apparenza superficiale e si osservano le segrete relazioni e corrispondenze tra le cose. Per indicare tutto ciò, Pavese usa in particolare l’espressione «realtà simbolica»: una volta presa coscienza della propria condizione interiore, lo scrittore utilizza lo stile per trascriverla attraverso una rete di simboli.

I romanzi e racconti di Pavese sono sempre ambientati in un luogo e in una situazione ben determinati dal punto di vista storico e sociologico. Le vicende avvengono sempre in un preciso periodo storico e i personaggi hanno una determinata condizione economica e sociale. Tuttavia questi aspetti però non si esauriscono mai in se stessi. Ogni elemento, piuttosto, rimanda sempre a un significato simbolico: si crea così il linguaggio metaforico che rappresenta la principali caratteristica del linguaggio di Pavese. I simboli non sono infatti presi singolarmente, ma sono collegati tra di loro in una metafora. Le opere della maturità andranno quindi lette come una metafora complessiva dell’esperienza umana dell’autore.

Lo stile

Dal punto di vista stilistico, il realismo simbolico si risolve in un lungo monologo dell’autore. Le frasi sono semplici e hanno una struttura elementare, per essere vicine al discorso parlato. Vi si trovano quindi forme dialettali, anacoluti e periodi spezzati. Allo stesso tempo, Pavese cerca però una misura di rigore e compostezza, che conferisce fluidità alla sua prosa.

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