Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Breve riassunto di poetica e pensiero di Gabriele D’Annunzio, poeta simbolo della letteratura italiana tra Otto e Novecento. Ne seguiamo l’evoluzione, a cominciare dalle prime opere ispirate a Carducci e Verga, per poi passare all’estetismo e al superomismo. Infine, con il Notturno e le ultime opere, si chiude la parabola di uno dei più discussi, ammirati e imitati scrittori italiani.

Gli esordi: tra Carducci e Verga

Gabriele D’Annunzio esordisce giovanissimo con la raccolta poetica Primo vere (1879), a cui segue Canto novo (1882). L’apprendistato del giovane poeta avviene nel solco di Carducci e delle sue Odi barbare (1877), punto di riferimento per la poesia italiana dell’epoca. Da Carducci il giovane D’Annunzio riprende non solo le soluzioni metriche ma anche il vitalismo e il senso pagano del rapporto tra poeta e natura. È però un vitalismo intriso di erotismo, che per certi versi già presagisce alla fase dell’estetismo.

Le novelle della raccolta Terra vergine (1882), invece, risentono del verismo verghiano. Tuttavia mancano qui le analisi della «lotta per la sopravvivenza» portate avanti da Verga nelle sue opere. L’Abruzzo, terra natia del poeta, viene descritto da D’Annunzio in una prospettiva estetizzante, come un luogo idillico, in cui si muovono personaggi passionali, mossi da istinti primordiali. Questo gusto per l’erotico e la sensualità ritorna anche nelle Novelle della Pescara (1902).

L’estetismo di D’Annunzio: poetica e pensiero

La fase estetizzante della poetica e del pensiero di D’Annunzio si fa però iniziare con i versi scritti negli anni ottanta, a cominciare da Intermezzo di rime (1884). Diventano qui predominanti i temi del decadentismo europeo, in particolare inglese e francese, che già si erano affacciati nelle opere precedenti. La sensualità perversa trova sempre più spazio, mentre l’arte assurge a valore assoluto. È una letteratura che nasce da altra letteratura: i versi dannunziani sono ricchi di richiami alla tradizione italiana e agli autori del simbolismo. Il poeta è un personaggio elevato e isolato, lontano e contrapposto alla società borghese capitalista dell’epoca. Tuttavia D’Annunzio cercava anche fama e ricchezza. Da qui il suo impegno a promuovere se stesso e la propria opera, sfruttando la società capitalistica per assumere un ruolo privilegiato.

Tutte queste premesse trovano la loro massima espressione nel primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889). Il protagonista Andrea Sperelli è un esteta, appassionato di arte e di cose belle, fedele al motto secondo cui bisogna fare della propria vita un’opera d’arte. Colleziona non solo opere d’arte, ma anche esperienze uniche e soprattutto donne. In particolare è diviso tra due amanti: da una parte la donna fatale, Elena Muti, e dall’altra la donna-angelo, Maria Ferres. Il personaggio dell’esteta è però destinato al fallimento. Andrea cadrà vittima degli effetti distruttivi del suo stile di vita. Un’innovazione narrativa è data dal fatto che D’Annunzio si concentra sulla psicologia dei personaggi, prendendo a modello il romanzo psicologico francese.

Una fase intermedia: la fase della bontà

Preso atto dei limiti dell’estetismo, per D’Annunzio si avvia quella che viene definita la “fase della bontà”. Stanco dei piaceri sensuali, il poeta sperimenta nuove soluzioni che guardano alla narrativa russa. Scrive il Giovanni Episcopo (1892) e l’Innocente (1892), ispirati dalla lettura di Tolstoj e Dostoevskij. Nel Poema paradisiaco (1893) dà voce al proprio desiderio di cose semplici e di un ritorno all’infanzia e all’ambiente familiare. Il tono diventa più malinconico e smorzato, i ritmo più lento. Dalla lezione di simbolisti deriva l’uso dell’analogia per scoprire i segreti legami tra le cose.

D’Annunzio e il pensiero di Nietzsche: il superuomo

Negli anni Novanta la lettura di Nietzsche fornisce a D’Annunzio le premesse per superare l’estetismo. Riprende però solo alcuni elementi dal pensiero nietzschiano:

  • il rifiuto del conformismo borghese e del principio di uguaglianza di tutte le persone,
  • il rifiuto della morale cristiana e dei sentimenti di pietà e altruismo,
  • l’elemento dionisiaco (interpretato in senso vitalistico),
  • la volontà di potenza e l’immagine del superuomo.

Tra la fase dell’estetismo e quella del superomismo ci sono però elementi di continuità. Nietzsche è letto in chiave reazionaria: la società borghese, lo stato liberale e il parlamentarismo hanno corrotto tutto ciò che è bello. Di contro, deve nascere una nuova aristocrazia, votata al culto del bello, che dominerà le classi inferiori. Si può quindi dire che il superuomo non nega ma ingloba il personaggio dell’esteta. Poesia e azione si fondono: l’arte è una via per dominare la realtà e il poeta è un Vate chiamato a dominare lo stato. Contro la mediocrità borghese deve nascere una nuova élite raffinata e violenta allo stesso tempo.

Questa fase inizia con il romanzo Trionfo della morte (1894), ma è con Le vergini delle rocce (1895) che avviene la svolta vera e propria. Claudio Cantelmo è ospite del principe di Montaga, allo scopo di scegliere, tra le sue tre figlie, una moglie degna di generare il «superuomo». Questi porterà a compimento l’«ideal stirpe latina» e donerà un impero all’Italia. Tuttavia la ragazza da lui scelta, Anatolia, non lo può seguire perché deve accudire la madre demente. Cantelmo ripiega quindi su Violante, l’ennesima donna fatale. Anche il superuomo quindi presenta dei limiti e il protagonista del romanzo di dimostra un debole, segnato da insicurezze e contraddizioni.

La figura del superuomo sarà al centro anche dei romanzi Il fuoco (1900) e Forse che sì forse che no (1910), delle poesie delle Laudi e delle sue opere teatrali.

La fase «notturna»

A partire dagli anni dieci, seguendo le tendenze diffuse nella letteratura europea dell’epoca, D’Annunzio si orienta verso la prosa lirica, frammentaria e con un taglio autobiografico e memoriale. Alcuni esempi sono Contemplazione della morte (1912), la Licenza della Leda senza cigno (1913), Le faville del maglio (1924-1928), il Libro segreto (1935).

L’opera più caratteristica di questa ultima fase del pensiero e della poetica di D’Annunzio è però il Notturno. È probabilmente lo scritto più sperimentale del poeta. Nel 1916 D’Annunzio aveva subito un colpo alla tempia durante un’azione bellica, che aveva portato al distacco della retina e dovette restare per tre mesi al buio, nella speranza di recuperare la vista. Il Notturno raccoglie lo scavo interiore dello scrittore, che ripiega su se stesso e detta alla figlia Renata le proprie riflessione, annotate su strisce di carta. L’opera compiuta, dopo la revisione dell’autore, conserva questo carattere di frammentarietà e di libera associazione di idee.

Ma non si tratta che dell’ultima fase della vita di D’Annunzio. Ormai diventato il Vate, esaltato ma anche temuto dal regime, ottiene un vitalizio e una residenza sontuosa, il Vittoriale. Qui trascorre gli ultimi anni, tra lussi sfrenati, intento a coltivare la propria immagine di poeta aristocratico e inarrivabile.

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