Ultimo aggiornamento: 19 Agosto 2022

Giuseppe Parini è stato il massimo autore della lirica nella letteratura italiana della seconda metà del Settecento. Moderatamente vicino alle idee e ai principi dell’Illuminismo, compose diverse odi e un poema satirico, Il giorno, in cui polemizzava con l’aristocrazia del tempo. Collaborò con il governo austriaco nel suo piano di riforme e fu uno dei più importanti intellettuali della cultura milanese dell’epoca. Nell’ultima fase della sua vita, deluso dalla fine della stagione delle riforme, condusse una vita ritirata e si avvicinò al neoclassicismo.

Vita

La formazione e le prime opere

Giuseppe Parino (questo il nome del poeta alla nascita) nacque a Bosisio, in Brianza, il 23 maggio 1729. La famiglia era di modeste condizioni, e all’età di dieci anni il giovane Giuseppe si trasferì a Milano presso una prozia, Anna Maria Lattuada, che morì nel 1740 lasciandogli in eredità una rendita annua. C’era però una condizione: che il nipote diventasse sacerdote. Parini frequentò le scuole presso i Barnabiti e nel 1754 fu ordinato sacerdote. Sempre nello stesso anno diventò precettore dei figli duca Gabrio Serbelloni.

Nel frattempo, Giuseppe Parini aveva già iniziato a dedicarsi alla poesia. Pubblicò nel 1752 una raccolta di liriche sotto falso nome, Alcune poesie di Ripano Eupilino, con cui si fece conoscere negli ambienti letterari milanesi. Entrò così nell’Accademia dei Trasformati, dove trovò un ambiente culturale consono alle sue aspirazioni. La sua posizione di precettore gli diede inoltre modo di osservare da vicino la nobiltà milanese del tempo. Casa Serbelloni era frequentata da intellettuali e letterati, e la duchessa Maria Vittoria si interessava delle nuove idee illuministe. Parini vi rimase fino al 1762, quando si licenziò per poi diventare precettore di Carlo Imbonati, figlio del rifondatore dell’Accademia dei Trasformati.

Gli incarichi pubblici

Negli anni sessanta iniziò a scrivere due poemetti satirici, il Mattino e il Mezzogiorno, che poi confluirono nel Giorno. Intanto, nel 1768 il poeta fu nominato direttore della «Gazzetta di Milano», l’organo di stampa semiufficiale del governo della città. In seguito fu nominato insegnante di belle lettere alle Scuole Palatine, incarico che mantenne anche dopo la trasformazione della scuola nel Regio Ginnasio di Brera. Proprio la vicinanza dell’Accademia di belle arti gli diede l’occasione di incontrare artisti neoclassici come Appiani e Piermarini. Fu poi membro di varie commissioni per le riforme scolastiche e nel 1791 divenne sovrintendente delle scuole di Brera.

Giuseppe Parini era quindi un tipico esempio di intellettuale illuminista, che partecipava direttamente alla riforme di un governo assolutista illuminato. La situazione però cambiò quando al trono austriaco salì Giuseppe II. Il nuovo imperatore rivoluzionò le riforme attuate dalla madre, Maria Teresa, suscitando delusione nel poeta. Guardò poi con favore alla rivoluzione francese, ma ne prese le distanze dopo avere visto gli orrori del Periodo del Terrore. Nel 1796 fu coinvolto per breve periodo nell’amministrazione della città dopo l’ingresso dei francesi, ma ne venne escluso dopo alcuni dissidi. Al ritorno degli austriaci nel 1799, riuscì a scampare eventuali ritorsioni grazie alla sua fama e al suo prestigio. Morì il 15 agosto dello stesso anno.

Opere

Le odi

La composizione delle Odi occupa gran parte della vita di Giuseppe Parini.

Una prima fase risale al periodo compreso tra gli anni cinquanta e settanta. Le odi di questo gruppo affrontano prevalentemente temi sociali, secondo l’Illuminismo moderato dell’autore. Tra le più rappresentative ci sono La vita rustica (1757), La salubrità dell’aria (1759-1760), L’impostura (1760), L’educazione (1764), Sull’innesto del vaiolo (1765), Il bisogno (1766), Sull’evirazione dei cantori (1769). Dopo quest’ultima ode, Parini non scrisse nulla fino al 1777.

Una seconda fase viene fatta iniziare con La laurea del 1777 e termina nella seconda metà degli anni ottanta. In questo gruppo rientrano anche Il brindisi e Le nozze (1777-1778) e La recita dei versi (1783-1784). La morte di Maria Teresa nel 1780 e l’avvento di Francesco II segnò una cesura nell’impegno civile del poeta. Il fatto che in questi anni scrisse relativamente poco è indicativo della sua delusione.

La terza e ultima fase compre gli anni finali della vita di Parini, dalla fine degli anni ottanta alla morte. È un momento di particolare fecondità per il poeta, che compone La caduta (1784), Il pericolo, Il dono, Il messaggio, Sul vestire alla ghigliottina e Alla musa. Ormai lontano dall’impegno civile e chiuso in se stesso, Parini toccò in queste odi temi più intimi.

Il giorno

Il giorno è la più importante opera di Giuseppe Parini. Vi si dedicò per tutta la vita, a partire dal 1957 fino alla morte. L’opera, riconducibile formalmente al genere del poema didascalico, ripercorre la giornata di un «giovin signore» della nobiltà milanese, mostrandone, con evidente ironia, la vacuità degli usi e delle abitudini. È, in altre parole, una satira contro l’aristocrazia del tempo, fatua e chiusa in modo fatto di edonismo.

Parini pubblicò le prime due parti, il Mattino e il Mezzogiorno, nel 1763 e nel 1765. A questa doveva seguire una terza parte, la Sera, che non fu mai completata. Queste prime due parti risentono molto del pensiero del poeta, che aveva accolto alcuni degli ideali dell’Illuminismo, soprattutto per quanto riguardava la lotta ai privilegi della nobiltà, di cui nel poema viene mostrata l’immoralità diffusa (evidente, per esempio, nella satira del cicisbeismo).

In una seconda fase, influenzato dal gusto neoclassico che si stava diffondendo, Parini mise mano a una revisione del Mattino e del Mezzogiorno. La Sera invece fu suddivisa in due parti: il Vespro e la Notte. Il poeta lavorò alla sua opera fino agli ultimi giorni, senza riuscire a completarla.

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