Ultimo aggiornamento: 9 Marzo 2023

Ugo Foscolo è il massimo poeta italiano nell’età napoleonica. Formatosi nel clima cultura dell’illuminismo e del classicismo, si spostò in seguito verso posizioni più vicine al nascente romanticismo.

Vita

Infanzia e formazione

Niccolò Foscolo, questo il vero nome del poeta, nacque sull’isola di Zante (Zacinto) il 6 febbraio 1778. Il padre era un medico veneziano mentre la madre era di origini greche. Studio a Spalato e poi a Venezia e Padova, dove iniziò a comporre i primi versi e fece le prime conoscenze con il mondo della letteratura. Si appassionò allo studio dei classici e alle opere dell’Illuminismo. Nel 1795 Foscolo iniziò inoltre a usare il nome di Ugo.

La Repubblica Cisalpina e le grandi speranze

Con l’arrivo di Napoleone in Italia, il giovane poeta si esaltò al pensiero che potesse liberare e unificare la penisola. Guardato con sospetto dal governo veneziano, fuggì dapprima sui Colli Euganei e poi a Bologna, dove compose A Napoleone liberatore. Tornò in patria solo dopo che fu occupata dai francesi, ma molta fu la delusione quando il trattato di Campoformio cedette la città agli austriaci.

Trasferitosi nella Repubblica Cisalpina, visse tra Milano e Bologna, frequentò gli ambienti giacobini e conobbe Mario Monti e Giuseppe Parini. Seguì così le alterne vicende legate alle presenza napoleonica in Italia. Si arruolò nella Guardia Nazionale, partecipò all’assedio di Genova e successivamente si spostò in Francia, con l’intenzione di partecipare all’occupazione dell’Inghilterra (mai avvenuta).

Tornato a Milano, tra il 1806 e il 1812 pubblicò le Ultime lettere di Jacopo Ortis, i sonetti, le odi, i Sepolcri e inizia Le Grazie. Nel 1808 ottenne la cattedra di eloquenza all’università di Pavia che era stata di Monti; l’anno successivo la cattedra fu però soppressa.

Gli ultimi anni e l’esilio

Negli anni successivi, Foscolo divenne sempre più critico verso il governo napoleonico. A metterlo in difficoltà fu inoltre la rottura con Monti, che fino ad allora era stato suo amico e sostenitore. Fuggì quindi a Firenze, per poi tornare a Milano dopo la caduta di Napoleone. Gli austriaci, che avevano ripreso il controllo dell’Italia settentrionale, gli proposero nel 1815 di dirigere la rivista «Biblioteca Italiana», ma Foscolo rifiutò.

Trasferitosi in Svizzera, si stabilì poi a Londra, dove trascorse gli ultimi anni. Malato, povero e inseguito dai creditori, morì in un sobborgo della città inglese il 10 settembre 1827. Nel 1871, dopo l’unità d’Italia, le spoglie del poeta furono riportate in patria e attualmente riposano nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Opere

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Il più importante romanzo epistolare della letteratura italiana fu scritto da Foscolo alla fine del Settecento. Fu pubblicato in una prima edizione nel 1802 a Milano e poi, nella sua versione definitiva a Zurigo nel 1816. Il riferimento più immediatamente riconoscibile sono I dolori del giovane Werther di Goethe. Foscolo risentì però anche dell’influenza degli scrittori illuministi dell’epoca, e in particolare di Rousseau.

Nucleo del romanzo è la situazione politica italiana negli anni del dominio napoleonico. Jacopo Ortis è fortemente segnato dalla mancanza di una patria e si trova in conflitto con la società dell’epoca. Il fallimento della rivoluzione, l’arrivo di dominatori di stranieri, il potere tirannico di Napoleone portano tutti a un senso di disperazione. A questo fallimento, a cui non si vedono vie d’uscita, Ortis risponde scegliendo il suicidio. Già qui si può vedere la concezione foscoliana della morte che, in termini materialistici, è vista come un nulla eterno.

Le Odi

Negli stessi anni in cui scriveva l’Ortis, Ugo Foscolo compose anche due odi: A Luigia Pallavicini caduta da cavallo (1800) e All’amica risanata (1802). In entrambe è osservabile l’influenza del fusto neoclassico dell’epoca

La prima fu composta durante l’assedio di Genova ed è basata su un fatto di cronaca: la contessa Luigia Pallavicini aveva avuto il volto sfigurato in seguito a un incidente con un cavallo. L’ode di Foscolo vuole essere una consolazione per la donna che, nell’incidente, aveva perso la propria bellezza. Il dramma non viene trattato. Piuttosto, il poeta si sposta su un piano ideale in cui vengono citati i personaggi della mitologia greca che simboleggiano la caducità della bellezza. Più in generale, l’ode non celebra la donna ma la bellezza in sé, vista come un mondo di armonia in cui rifugiarsi.

La seconda ode, All’amica risanata, è dedicata alla contessa Antonietta Fagnani Arese, di cui Foscolo era innamorato. Anche in questo caso viene cantata la bellezza, minacciata dalla malattia ma poi salvata. Si affaccia poi un secondo tema, quella del valore eternante della poesia, che rende sublime la vita.

I sonetti

Foscolo compose anche dodici sonetti. I primi otto (Non son chi fui, perì di noi gran parte, Che stai?, Te nutrice alle Muse, E tu ne’ carmi avrai perenne vita, Perché taccia il rumor di mia catena, Così gl’interi giorni in luogo incerto, Meritamente, però ch’io potei, Solcata ho fronte) furono pubblicati nel 1802. In seguito, nel 1803, la raccolta fu ampliata con altri quattro (Alla sera, A Zacinto, Alla Musa, In morte del fratello Giovanni).

Sono componimenti che attingono dal materiale autobiografico. Il poeta è un eroe tormentato costretto all’esilio. Come nell’Ortis, unica via di uscita è la morte, poiché non c’è possibilità di trovare altri rifugi, nemmeno nella famiglia. Ritorna anche il tema del valore eternante della poesia e lo stretto rapporto tra l’autore e la Grecia (e quindi con il mito classico).

Dei sepolcri

Già nei sonetti compare un tema legato alla morte, quello della «illacrimata sepoltura», con cui si chiude In morte del fratello Giovanni. La tomba e il rapporto che genera tra il defunto e i vivi è al centro del carme Dei sepolcri. Composto da 295 endecasillabi sciolti, fu scritto nel 1806 e pubblicato nel 1807. L’occasione per il carme si deve al decreto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con cui si ordinava la chiusura dei cimiteri cittadini per ragioni igieniche. Per le tumulazioni sarebbero stati realizzati appositi cimiteri con sepolture comuni. Il poeta Ippolito Pindemonte compose in quel periodo il poemetto I cimiteri, in cui riaffermava l’importanza del culto cristiano. Foscolo scrisse quindi il suo carme in risposta al poemetto di Pindemonte.

Il poeta si riallaccia a un tipo di poesia cimiteriale, tipica del preromanticismo inglese. Il carme è una lunga riflessione politica e filosofica sull’opportunità dei sepolcri e sulla loro funzione civile. Foscolo continua a pensare alla morte in termini materiali, ma attribuisce alla tomba un ruolo importante: quello di conservare il ricordo del defunto tra i vivi. Grazie a questa illusione, è possibile conservare i legami familiari e trasmettere la memoria dei grandi alle generazioni future. E proprio dalla memoria e dal ricordo della grande storia italiana, l’Italia potrà trovare il suo riscatto.

Notizia intorno a Didimo Chierico

Tra il 1805 e il 1812 Foscolo lavorò alla traduzione del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, poi pubblicato nel 1813. Nella finzione letteraria, traduttore dell’opera è un certo Didimo Chierico, che Foscolo dice di avere incontrato a Parigi. Di lui vengono inoltre fornite delle notizie biografiche nella Notizia intorno a Didimo Chierico che accompagna la traduzione.

Didimo, come Yorick, è un ecclesiastico che ha molto viaggiato. Questo gli ha consentito di conoscere vari aspetti della realtà: la vanità della società, la durezza e le contraddizioni del mondo, l’arroganza degli intellettuali e dei poeti.

Le Grazie

Ultima opera di Ugo Foscolo sono Le Grazie, a cui lavorò fino agli ultimi giorni di vita, lasciando l’opera incompiuta. Ritorna qui il tema della bellezza, di cui le Grazie erano la divinità protettrice. La sua poesia, sottoposta a un faticoso labor limae, diventa particolarmente armonica, così da dare una vivida rappresentazione della bellezza.

Sul web

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