Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Analizziamo uno dei temi centrali della poetica di Giovanni Pascoli: il fanciullino. La poesia pascoliana si basa sulla visione del mondo come una realtà frantumata e disgregata, impossibile da conoscere attraverso la ragione. Da qui scaturisce l’immagine del poeta-fanciullo, in grado di cogliere la verità attraverso il suo modo di ragionare alogico.

Giovanni Pascoli: Il fanciullino

Per comprenderne la poetica è necessario partire dal più famoso saggio di Giovanni Pascoli: Il fanciullino. Questo scritto comparve per la prima volta a puntate sulla rivista «Il Marzocco» nel 1897, quindi fu ripubblicato nel 1903 nei Miei pensieri. Pascoli lo descrive così

È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, […] ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. […] Ma l’uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l’armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d’un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora.

Giovanni Pascoli, Il fanciullino, cap. I

In fondo a ogni uomo sopravvive quindi un fanciullo, che guarda alle cose come se le vedesse per la prima volta, con stupore e meraviglia. E il poeta coincide con questo fanciullo.

Il poeta veggente

Il poeta-fanciullo è come un nuovo Adamo: guarda con stupore al mondo come se fosse sempre nuovo e attribuisce a ogni cosa un nome. Il linguaggio che usa è distante da quello comune e colloquiale, ma è una «novella parola» in grado di cogliere la parte più intima e originaria delle cose. Si tratta di un’immagine risalente alla poetica romantica, che aveva equiparato il fanciullo all’uomo primitivo. Pascoli tuttavia ne dà un’interpretazione tipicamente decadente.

La poesia è una forma di conoscenza alogica e immaginosa, che ci fa sprofondare direttamente in quello che Pascoli chiama «l’abisso della verità». Il fanciullo conosce direttamente, senza mediazioni, la verità delle cose e coglie le segrete relazioni che ci sono tra di esse. In questo senso il poeta è un veggente, che grazie a una vista più acuta è capace di penetrare l’ignoto e di vedere le misteriose rispondenze che ci sono tra le cose del reale. Solo il poeta può cogliere la rete di simboli che attraversa la realtà e sfugge invece allo sguardo degli uomini comuni.

La poesia pura e il suo ruolo sociale

Quella di Pascoli è dunque una poesia pura, cioè priva di finalità pratiche. Il poeta non si propone fini morali o civili, ma canta unicamente allo scopo di cantare. Ma proprio il fatto di essere disinteressata rivela l’utilità della poesia: dando voce al fanciullino, il poeta sopprime i sentimenti di odio e violenza e stimola invece la bontà, l’amore e la fratellanza. Insegna inoltre a godere di ciò che si ha, senza farsi sopraffare dal desiderio di avere di più.

La poesia pascoliana ha implicita in sé un’utopia umanitaria, che propone il superamento delle divisioni tra classi per raggiungere una fratellanza universale tra tutti gli uomini. Questa negazione della lotta tra classi trova corrispondenza nel rifiuto della distinzione tra temi alti e temi bassi, tipica della poesia classica. Tutti gli argomenti, secondo Pascoli, sono degni di essere trattati in una poesia. Anche le cose più piccole hanno un loro particolare sublime, che il poeta-fanciullo è in grado di riconoscere. Fedele a questo principio, Pascoli nella sua poesia cantò quindi sia le cose più umili e dimesse, sia le grandi glorie nazionali.

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