Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

Nel corso degli anni cinquanta l’esperienza del neorealismo si esaurì. Molte cose erano cambiate dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli equilibri politici e culturali sorti dalla Resistenza erano mutati, l’industria aveva guidato la crescita economica del paese e la destalinizzazione aveva avviato una crisi della politica. Nuove esigenze si fecero largo e molti scrittori della letteratura italiana si orientarono verso lo sperimentalismo. E con esso, negli anni sessanta, si svilupparono il Gruppo 63 e la neoavanguardia.

Il contesto e caratteri generali

Sia lo sperimentalismo sia la neoavanguardia sono due fenomeni strettamente collegati alla vita politica italiana, e in particolare alla sinistra, tra gli anni cinquanta e nel sessanta. Queste forze trovarono la loro esplosione con le rivolte studentesche del Sessantotto, che segnò un’epoca. In seno allo sperimentalismo prese piede la riflessione sul rapporto tra letteratura e modernità, alla ricerca di nuovi mezzi espressivi.

Le riviste e la diffusione dello sperimentalismo nella letteratura italiana

Nella diffusione del dibattito sullo sperimentalismo ebbero un ruolo di primo piano le riviste letterarie. Attorno a esse orbitavano scrittori, critici d’arte e intellettuali, che le animavano con interventi sulla letteratura, la politica, la società, l’industrializzazione.

Tra queste, una delle più importanti fu «Officina», attiva tra il 1955 e il 1959. Poteva vantare tra i suoi redattori intellettuali di primo piano, come Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi, Angelo Romanò, Gianni Scalia e Franco Fortini. Questi autori erano accomunati dall’insoddisfazione per la situazione politica dell’Italia dell’epoca. Inoltre, alimentavano la polemica con la tradizione novecentesca e con gli ultimi esiti del neorealismo. Guardavano piuttosto al realismo ottocentesco e a sperimentazioni letterarie in grado di dialogare con la modernità.

«Il Menabò» fu invece fondato da Vittorini con la collaborazione di Calvino. Attivo dal 1959 al 1967, era più legato alla critica letteraria impegnata. A differenza di «Officina» non era animato da un gruppo di intellettuali definito. Piuttosto, si proponeva di verificare la possibilità di una letteratura nuova, con un orizzonte internazionale. In questo modo, stimolò e promosse il dibattito culturale in Italia e lanciò una riflessione sul rapporto tra industria e letteratura. Sempre sulle pagine del «Menabò» comparvero i primi esperimenti della neoavanguardia.

«Il Verri» fu fondato nel 1967 dal filosofo Luciano Anceschi. L’attività della rivista era legata all’estetica fenomenologica di Anceschi. Fu quindi lontana sia dallo storicismo sia dal neorealismo. Si interessò invece alle nuove tecniche artistiche, alle scienze umane e alla filosofia contemporanea. Proprio dall’esperienza del «Verri» nacque la raccolta I Novissimi. Poesia per gli anni ’60 (1961).

I principali autori dello sperimentalismo nella letteratura italiana

Allo sperimentalismo si dedicano alcuni dei più importanti autori della letteratura italiana della seconda metà del Novecento, come Pasolini, Fortini, Testori, Volponi, Roversi e Leonetti. A questi vanno poi aggiunti gli autori della neoavanguardia, come Arbasino, Sanguineti, Malerba, Pagliarani, Manganelli, Giuliani e Balestrini. Per molti di questi scrittori, punto di riferimento fu Carlo Emilio Gadda.

Si diffuse inoltre una nuova forma di romanzo sperimentale, che ricercava nuove forme espressive. Ne sono esempi le sperimentazioni linguistiche di Luigi Meneghello (Libera nos a Malo, 1963) oppure la commistione tra mito e sperimentazione nelle opere di Stefano D’Arrigo (Horcynus Orca, 1975). Da ricordare anche le prove di Antonio Pizzuto, che fu critico e teorico oltre che scrittore.

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