Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre 2021

La poesia italiana dei primi anni del Novecento è segnata principalmente dal decadentismo e dal modello dannunziano. Al poeta di Pescara si contrapponevano, programmaticamente, i poeti del crepuscolarismo: esponenti principali di questo movimento furono autori come Gozzano, Moretti, Corazzini e altri.

Origini del nome

Il termine crepuscolarismo fu usato per la prima volta dal critico Giuseppe Antonio Borgese in un articolo apparso sulla «Stampa» nel settembre 1910. Recensendo le raccolte di Moretti, Martini e Chiaves, affermò che erano accomunate dal medesimo senso di «torpida e limacciosa malinconia», tipica di chi non ha «nulla da dire e da fare». Per descrivere questa situazione ricorse quindi all’immagine del crepuscolo, che rimanda a una sensazione di declino e di spegnimento. Già nel 1909, tuttavia, Emilio Cecchi in un articolo sulla «Voce» aveva usato la metafora del crepuscolo per definire la poesia di Gozzano. L’espressione fu poi ripresa anche da Scipio Slataper nel 1911, sempre per recensire un componimento di Gozzano. Negli anni successivi divenne comune il termine «crepuscolarismo» per indicare gli esponenti di un gruppo di poeti, che pur non costituendo una vera e propria scuola, condividevano il medesimo senso di decadimento.

Crepuscolarismo: caratteristiche

Il crepuscolarismo, come si può dedurre dal nome del movimento, si basa su una poetica del tutto opposta al vitalismo tipico invece della poesia dannunziana. Tendono piuttosto a ridimensionare il ruolo dell’intellettuale, visto come una figura marginale rispetto ai valori della modernità. Le radici di questo sentire risalgono alla poesia di fine Ottocento, e in particolare ad alcuni aspetti della scapigliatura, al Poema paradisiaco di D’Annunzio, a Myricae e ai Canti di Castelvecchio di Pascoli.

Il riferimento a D’Annunzio non deve portare a facili conclusioni: nonostante i crepuscolari risentissero, come tutti, del fascino del poeta di Pescara, ne presero risolutamente le distanze. I primi esempi di poesia crepuscolare comparvero negli stessi anni in cui il Vate pubblicate le Laudi, andando però in una direzione opposta. I poeti crepuscolari riconosco ciò che c’è di artificiale e illusorio nei toni celebrativi usati dalla poesia dell’epoca, e sentono la frattura tra intellettuali e modernità. Sono così alla ricerca di un linguaggio che riesca a rendere l’esperienza del presenze, senza però partecipare alla vita del mondo moderno.

In altre parole, i crepuscolari risentono della situazione di crisi della poesia nella modernità. Tuttavia, non si ribellano a questa crisi, ma la esprimono rivolgendosi a cose piccole, semplici e dimesse. I crepuscolari rivoluzionano il linguaggio, abbandonando le forme auliche e inserendo nella poesia materiali e toni più prosaici. La poesia non deve essere qualcosa di più alto dell’esistenza, ma al suo stesso livello: da qui il ricorso a elementi tipici della prosa e al verso libero.

Crepuscolarismo: esponenti principali

I poeti crepuscolari provenivano per lo più dalla piccola borghesia. I primi esempi di poesia crepuscolare si hanno negli anni 1899-1904 a Roma, grazie a un gruppo composto da Tito Marrone, Corrado Govoni e Sergio Corazzini. Contemporaneamente, anche a Torino si era formato un gruppo di poeti con una poetica affine, del quale il più conosciuto e rappresentativo fu Guido Gozzano, autore de La signorina Felicita ovvero la felicità. Fondamentali furono poi le esperienze poetiche di Marino Moretti e Nino Oxilia. A questi si possono aggiungere altri autori che, pur non rientrando a pieno titolo nel movimento, ebbero una “fase crepuscolare”. Tra questi: Palazzeschi, Ungaretti, Sbarbaro, Saba, Montale.

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