Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio 2023

L’età napoleonica in Italia segna una rivoluzione mancata. L’avvento di Napoleone, generale corso di ascendenze italiane, aveva fatto nascere la speranza che per la penisola potesse iniziare una fase nuova, di libertà e unità politica. Sentimenti, però, destinati a rimanere delusi. Di questa rivoluzione mancata si trova traccia anche nella letteratura italiana, rimasta legata alla sua secolare tradizione classicista.

Dalla Repubblica Cisalpina al Regno d’Italia

Le truppe napoleoniche entrarono in Italia nel 1796 e fondarono in tutta la penisola struttura statali sul modello francese. In particolare, nacquero le cosiddette repubbliche sorelle, cioè la Repubblica Cispadana e Transpadana (dal 1797 riunite nella Repubblica Cisalpina), e poi la Repubblica Romana (1798-1799) e la Repubblica Partenopea (1799). La Repubblica Cisalpina in seguito diventò Repubblica Italiana (1802-1805) e infine Regno d’Italia (1805-1814). Piemonte, Toscana e Lazio annesse direttamente allo Stato francese. Altre monarchie caddero sotto il controllo di membri della famiglia Bonaparte, come il Regno di Napoli a Giuseppe Bonaparte (1806-1815).

Le riforme di età napoleonica in Italia

L’avvento di Napoleone in Italia modificò non solo le strutture politiche ma anche l’economia. In generale varò riforme di modernizzazione, che portarono ad abbandonare le strutture dell’antico regime e gli istituti feudali. Tra i provvedimenti presi ci furono la privatizzazione dei demani, la vendita dei beni ecclesiastici, l’eliminazione delle barriere doganali e la costruzione di nuove vie di comunicazione. Altre riforme interessarono la pubblica amministrazione, l’esercito, l’istruzione e il sistema giudiziario (estensione del Codice napoleonico ai territori italiani).

Il risultato fu il rafforzamento della borghesia terriera e un rinnovamento della struttura sociale della popolazione italiana. I ceti medi, in particolare, acquisirono una nuova coscienza di classe, che li porterà a ricoprire un ruolo da protagonisti durante il Risorgimento. Tuttavia, la Francia continuò a conservare un ruolo egemone sull’economia italiana, costituendo di fratto un freno allo sviluppo locale.

Speranze deluse dell’età napoleonica in Italia

Come ricordato all’inizio, l’arrivo dei francesi portò in Italia un clima di speranza per un generale rinnovamento politico. L’ala più democratica aspirava a radicali riforme politiche e sociali, fondate sul principio dell’uguaglianza affermato dalla rivoluzione francese. I più moderati, invece, proponevano una gradualità delle riforme e l’inviolabilità di alcuni principi, come per esempio la proprietà privata o il potere delle classi altolocate. Sostenevano inoltre la necessità di limitare le spinte eversive delle classi popolari. Alla fine furono i più moderati ad avere la meglio e a dominare la politica italiana durante l’età napoleonica.

D’altra parte, questo dibattito tra moderati e democratici/progressisti interessava solo i ceti colti, mentre le classi popolari e contadine ne erano estranee. Anche la figura dell’intellettuale si trasformò profondamente e riprese vita il ruolo del poeta cortigiano, di cui Vincenzo Monti fu sicuramente l’intellettuale più rappresentativo. A lui spettava il compito di magnificare e diffondere i nuovi valori e le idee progressiste.

Tuttavia, la trasformazione del regime napoleonico in impero generò malcontenti e astio tra gli intellettuali di orientamento giacobino. La nuova fase imperiale fu vista come un tradimento degli ideali rivoluzionari e generò sentimenti di frustrazione e delusione. Sentimenti che si ritrovano anche nella produzione letteraria dei primi anni dell’Ottocento e che si possono osservare nell’opera di Ugo Foscolo.

Età napoleonica e letteratura in Italia

A differenza di quello che avvenne in molti altre parti d’Europa, in Italia non vi fu un vero e proprio rinnovamento letterario. Sopravvisse infatti la tradizione classicista che per secoli aveva caratterizzato la letteratura italiana, caratterizzata da un classicismo formale, lontano dalle sperimentazioni dei letterati inglesi e tedeschi. I canoni del classicismo continuarono quindi a essere dominanti, seppur non mancarono autori che li rivissero dimostrando una grande originalità (è il caso di Foscolo).

Continuarono quindi a essere in auge generi poetici come la poesia lirica, il poema didascalico, il poema epico, il sermone didascalico, l’epistola in versi e la tragedia. A questa fase risalgono alcune importanti traduzioni di classici, come l’Iliade di Monti e l’Odissea di Pindemonte. La poesia in particolare continua a essere considerata il genere letterario più importante e alto, mentre la prosa narrativa sul modello del romanzo moderno stenta a diffondersi. Nella prosa, infatti, il genere più diffuso rimane la storiografia. L’unica eccezione sono Le ultime lettere di Iacopo Ortis di Foscolo, che si rifanno ai coevi modelli della letteratura europea, in particolare Rousseau e Goethe.

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