Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio 2023

Vincenzo Monti (1754-1828), per la sua poetica e pensiero, è uno dei più rappresentativi autori del neoclassicismo italiano. Tuttavia la sua fortuna presso i critici è mutata nel corso del tempo. Se alla metà dell’Ottocento era considerato uno dei più importanti poeti del periodo, oggi è ricordato più che altro per il suo valore documentario, cioè come esemplare rappresentante del gusto poetico dell’epoca.

Il periodo romano

Il pensiero di Vincenzo Monti varia nel corso della sua carriera di poeta. Già molti suoi contemporanei lo accusarono di cambiare opinioni politiche a seconda delle convenienze (De Sanctis lo definirà «il segretario dell’opinione dominante»). In una prima fase della sua vita, Monti visse a Roma alla corte papale, dimostrando un atteggiamento critico verso il giacobinismo e gli ideali della rivoluzione francese. In grado di adattarsi ai diversi stili, spaziò tra vari generi poetici, dai componimenti di gusto arcadico a opere che rispettavano i canoni del classicismo. Un’abilità che gli consentì di diventare poeta ufficiale della corte papale.

All’epoca presso la curia romana era diffusa l’idea che si potessero rinverdire i fasti del Cinquecento. A diffondere l’interesse per il classicismo furono anche alcune scoperte archeologiche. Monti si impegnò a scrivere che si proponevano di mostrare la continuità tra l’età classica e la presente, di cui venivano tessuti gli elogi (Prosopopea di Pericle, 1779; Al signor di Mongolfier, 1784). Accanto a questi vi sono però anche compimenti in stile barocco e persino opere che risentono dell’attenzione per gli aspetti e sentimentali tipici del preromanticismo. Tipico esempio della produzione neoclassica è la Musogonia (1793).

Quando nel 1793 la folla romana, aizzata dagli antirivoluzionari, linciò il giornalista repubblicano francese Nicolas Jean Hugou de Bassville, l’evento diede a Monti l’occasione per scrivere quella che forse è l’opera più importante di questo periodo. Si tratta del poema epico di ispirazione dantesca noto come Bassvilliana. Il poeta narra la presunta conversione di Bassville in punto di morte, il suo abbandono delle idee rivoluzionarie e la sua salita al paradiso. Un angelo che lo accompagna al cielo gli mostra gli orrori della rivoluzione, richiamando il lettore all’importanza della moderazione politica.

Il periodo milanese

Il pensiero di Vincenzo Monti cambiò però radicalmente quando Napoleone giunse in Italia con i suoi eserciti. Trasferitosi a Milano, nella Repubblica Cisalpina, collaborò con le amministrazioni francesi. Visse nella città lombarda fino alla morte, con l’eccezione di un breve esilio a Parigi, negli anni in cui gli austriaci riuscirono a strappare il Lombardo-Veneto ai francesi. Dall’amministrazione francese Monti ricevette incarichi di prestigio: fu nominato professore di retorica nell’ateneo pavese e poi poeta ufficiale di corte.

Monti cantò i fasti dell’età napoleonica, spesso ricorrendo alla mitologia classica per esaltare le imprese napoleoniche. Ottenne buoni riscontri con le sue traduzioni. Su tutte si devono ricordare le sue versioni della Pulcella d’Orléans di Voltaire (1798-1799) e dell’Iliade di Omero (1810). Quest’ultima, basata su precedenti traduzioni (Monti non conosceva il greco), è ancora oggi uno tipico esempio dell’armonia e dell’equilibrio della poesia neoclassica.

Alla caduta di Napoleone, Monti riuscì abilmente a conservare il ruolo di poeta di corte anche presso l’imperatore austriaco. Negli ultimi anni compose opere più intime, legate agli affetti familiari. Entrò anche nel merito della polemica classico-romantica con il sermone Sulla mitologia: la poesia fondata sulla meraviglia generata dalla mitologia è superiore all’«arido vero» dei romantici. Per quanto riguarda invece la questione della lingua, elaborò con altri letterati una Proposta di alcune correzioni e aggiunte al «Vocabolario della Crusca» (1817-1826).

Considerazioni finali su poetica e pensiero di Vincenzo Monti

Monti è ricordato come poeta cortigiano, impegnato a cantare, di volta in volta, gli elogi dei sovrani presso cui viveva, siano essi papi o imperatori. Ma anche la sua poesie è stata accusata di essere puramente formale e non autentica. Celebre il giudizio di Giacomo Leopardi, che lo definì «poeta veramente dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore in nessun modo». D’altra parte, a lui furono sempre riconosciute le sue indubbie doti di poeta e versificatore. In questo senso, Monti è l’ultimo esponente di una poesia cortigiana, accondiscendente verso i gusti in voga nel periodo, e che si identificava con il potere politico vigente. Il classicismo di Monti è un classicismo borghese, che cerca il consenso sociale e che, attraverso forme auliche riprese dalla tradizione, propone una moderata fiducia nel progresso.

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